Non possiamo più negarlo: il modo in cui produciamo il cibo che mangiamo ha un impatto elevatissimo sull’ambiente e sugli ecosistemi in termini di inquinamento, di depauperamento delle risorse naturali, di degradazione del suolo, di emissioni di gas serra. Attualmente, la produzione di cibo rappresenta quasi un terzo delle emissioni globali di gas serra (26 per cento del totale). Più della metà di queste emissioni (59 per cento) proviene dall’allevamento del bestiame destinato alla produzione di carne, prodotti caseari e uova: questo rende la produzione di prodotti alimentari di origine animale la terza fonte di emissioni inquinanti in assoluto dopo il settore della produzione energetica (35 per cento delle emissioni totali) e quello dei trasporti (23 per cento).
Ma perché la produzione di carne e derivati inquina così tanto? Innanzitutto, allevare bestiame richiede la disponibilità di estesi appezzamenti di terreno da destinare ai pascoli o alla produzione di foraggio – terreni spesso sottratti alle foreste (alimentando il pericoloso fenomeno della deforestazione incontrollata) o ai campi un tempo adibiti alla coltivazione di cereali per uso umano. Questo indiscriminato sfruttamento del terreno contribuisce alla perdita di biodiversità e alla degradazione del suolo che, dopo pochi anni, diviene arido e sterile.
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La produzione zootecnica richiede inoltre enormi quantità di acqua: si pensi che per produrre un chilogrammo di carne servono fino a 15.400 litri d’acqua, mentre per produrre un chilogrammo di patate bastano 290 litri (fonte: Water Footprint Network). C’è poi un ultimo problema, non di minore importanza, che riguarda il metano emesso dall’apparato digerente dei ruminanti attraverso eruttazioni o flatulenze – metano che si disperde nell’ambiente andando a inquinare ulteriormente l’aria e che non può essere recuperato. Insomma, se pensiamo che la popolazione globale continua a crescere e, con essa, anche la domanda di cibo, è facile comprendere perché sia tanto importante una rapida inversione di tendenza.
Diversi studi hanno dimostrato che gli alimenti di origine vegetale hanno un impatto ambientale più basso, unito a costi più contenuti e a un minor impiego di risorse, pur continuando a garantire gli stessi standard di sicurezza alimentare degli alimenti di origine animale, decisamente più inquinanti. Ma noi consumatori siamo disposti a cambiare il nostro modo di alimentarci per salvare il pianeta?
Lo studio americano
Una nuova ricerca condotta dall’Università del New England ha messo a confronto cinque regimi alimentari che prevedono un ridotto (o nullo) consumo di carne e prodotti di origine animale tenendo conto di alcuni fattori – quali impronta carbonica, consumo di acqua e risorse, distruzione degli ecosistemi, benessere degli animali, impatto sulla nostra salute – al fine di scoprire quale sia la dieta vincente dal punto di vista ambientale che sia anche facilmente praticabile per gli esseri umani:
- Dieta mediterranea: tipica (almeno in origine) dei Paesi che si affacciano sul bacino mediterraneo, come anche il nostro, quest’alimentazione si basa sul consumo di cereali, frutta e verdura seguendo la stagionalità, con un occasionale consumo di carne rossa, pollame e pesce;
- Dieta semi-vegetariana: si tratta di un regime alimentare che non contempla la rinuncia drastica a carne e pesce, ma certamente una riduzione nel consumo di questi alimenti;
- Dieta pescetariana: è un’alimentazione che prevede la rinuncia alla carne ma tollera il consumo occasionale di pesce;
- Dieta vegetariana: l’alimentazione vegetariana abolisce il consumo di carne e pesce ma tollera il consumo, seppur ridotto, di altri prodotti di origine animale (uova, formaggi, miele…);
- Dieta vegana: è un’alimentazione completamente vegetale, in cui non è contemplato il consumo di prodotti di origine animale.
Come abbiamo detto, si tratta di regimi che già prevedono un consumo ridotto di prodotti di origine animale – tranne la dieta vegana, che è completamente vegetale. La dieta mediterranea è considerata l’opzione più sana dalla comunità medica (più sana anche della dieta onnivora) poiché associata a una ridotta mortalità per patologie quali ictus, infarto, diabete e alcuni tipi di cancro che hanno maggiori possibilità di insorgere se i consumi di carne (soprattutto quella rossa e quella processata) sono molto elevati. Anche le altre quattro diete si sono rivelate adeguate dal punto di vista nutrizionale – benché i due regimi alimentari di esclusione più rigida (quello vegetariano e quello vegano) necessitino di supporto medico per essere portati avanti e, talvolta, anche di un piccolo numero di nutrienti da integrare.
Per quanto riguarda poi i benefici per l’ambiente e per il benessere degli animali, anche in questo caso tutti i regimi oggetto di studio hanno dato riscontri positivi. Eppure al giorno d’oggi ancora troppe persone, soprattutto nei Paesi occidentali, continuano a consumare prodotti di origine animale e a sottostimare i vantaggi di una dieta a base vegetale. Questo perché cambiare i modelli dietetici, le abitudini e i retaggi culturali può apparire come un’impresa molto ardua. Continuando la loro indagine, i ricercatori hanno condotto un sondaggio su un campione di popolazione, intervistandolo sulle proprie abitudini alimentari e sulla propria disponibilità a cambiare dieta per ridurre il proprio impatto sull’ambiente.
Passare a un’alimentazione vegetariana o vegana, quindi, è sembrata la scelta meno praticabile perché troppo drastica e limitante. Al contrario il passaggio alla dieta mediterranea, che contempla ancora un minimo consumo di ogni cosa (anche di carne e pesce), sembra essere il compromesso più accettabile fra l’indisponibilità a rinunciare ai piatti della tradizione e la volontà di impattare meno sull’ambiente.