Un gruppo di gatti sonnecchia su un muretto, a fianco al vicolo di un paesino diroccato. Un anziano, su un marciapiede, legge il giornale seduto su una bella sedia di legno. Indossa un cappello a tesa larga bianco. Una bambina, il vestito che raffigura tanti fiocchetti neri, gioca con le bolle di sapone davanti a un portone antico. È questa la vita lenta. Ogni giorno i cellulari di decine di utenti la catturano in brevi video e una pagina Instagram da ormai più di 179mila follower la raccoglie e la condivide al pubblico. Il messaggio è chiaro: rallentare, godersi la magia dei piccoli momenti quotidiani. Ma cosa succede se a veicolare questo messaggio è uno strumento non proprio neutrale? Instagram, con la transitorietà delle sue story e la rapidità dei suoi reel, è il posto giusto per ospitare la vita lenta?
Cos’è lo slow living?
L’estetica della pagina Vita Lenta richiama il movimento slow living. Ma che cos’è di preciso? La filosofia slow living esiste, quantomeno nell’inconscio collettivo, da centinaia, se non migliaia di anni. Tanto le tesi dei filosofi stoici quanto la meditazione buddista hanno molto a che vedere con questa pratica. In un certo senso, già l’otium latino, contrapposto al materialistico negotium, era una forma di slow living.
Tuttavia, come stile di vita consapevole di sé, lo slow living affonda le sue radici negli anni Ottanta del Novecento, e in particolare nel movimento Slow Food, fondato in Italia da Carlo Petrini. Già dal nome, lo Slow Food si proponeva come risposta al dilagare del cosiddetto fast food, e sottolineava l’importanza dei pasti, del cibo e dell’alimentazione, visti come piaceri della vita da assaporare con la giusta lentezza. Negli anni, tantissime persone iniziarono a rendersi conto che dietro al movimento Slow Food vi era una visione del mondo applicabile a tutti gli aspetti della vita e della società, non solo al cibo. In questo senso si iniziò a parlare di slow living, del recupero di tutte quelle pratiche di vita lenta che la mania produttivistica della nostra società ci stava facendo perdere.
E quindi lo yoga e la meditazione contrapposti alle to-do-list e alla produttività; la natura contrapposta al guadagno; i piccoli borghi o la campagna contrapposti alle grandi città.
Vita Lenta: la pagina Instagram
La pagina Instagram Vita Lenta riprende tutto questo. Il suo creatore, Gianvito Fanelli, è un designer pugliese che dopo dieci anni di frenetica vita milanese ha deciso di tornare nella sua terra natia. È qui che ha riscoperto la vita lenta, iniziando a notarla nei piccoli dettagli della quotidianità di un paese del sud Italia. L’occhio del designer, poi, ha fatto il resto. La vita lenta è diventata così una serie video da condividere sui social. Video che sono piaciuti e che hanno fatto nascere una pagina che oggi conta più di 179mila seguaci. Lo sguardo di Fanelli è stato d’ispirazione per tante altre persone e la pagina vive ormai dei contenuti inviati dai follower da ogni parte d’Italia, e non solo. Un grande contenitore di dettagli e piccoli momenti, insomma, immortalati dai cellulari degli utenti e condivisi con il mondo.
“A quiet place on the internet” recita la bio della pagina, con tanto di emoji della tartaruga. E proprio così sembrano viverla gli utenti, che a giudicare dai commenti sono più che altro lieti di veder interrotto lo spasmodico flusso del loro feed da un’immagine di pace e lentezza. Spesso ambientati al sud, spesso in riva al mare, spesso con protagonisti anziani o bambini: la sensazione che trasmettono i video della pagina Vita Lenta è proprio quella di una pacifica quiete, allo stesso tempo carica di un’impalpabile pienezza di significato. Come se in pochi secondi di normalità si nascondesse il senso più profondo della vita. Nessuno saprebbe spiegarlo a parole, eppure tutti sono d’accordo.
Vita lenta e Instagram: una contraddizione?
Dalle origini fino al successo planetario, Instagram è sempre stato un social network per la condivisione di fotografie. Molto presto ha implementato anche la possibilità di caricare brevi video. Negli ultimi anni, già dopo l’evidente boom mondiale e l’acquisizione da parte di Facebook (oggi Meta), ha iniziato a inseguire altri social network di successo copiando le loro funzionalità principali. I casi più celebri sono le Instagram story che spariscono dopo ventiquattr’ore, ispirate al modello di Snapchat, e i più recenti reel, derivati dai brevi e popolari video di TikTok. Non proprio due strumenti lenti, anzi: si tratta di funzionalità per le quali la transitorietà e la rapidità sono componenti intrinseche.
Su Instagram, ma anche su YouTube e TikTok, milioni di utenti trascorrono ormai diverse ore della propria giornata a scorrere in maniera pigra e apatica con il pollice sullo schermo, senza prestare particolare attenzione a nessun contenuto in particolare. Non si tratta di un contingente effetto collaterale provocato dai social network, ma della logica profonda di questi ultimi. Instagram funziona attorno al concetto di flusso, si basa sull’abbondanza di contenuti, in ultima istanza, sulla velocità. D’altra parte, si chiama proprio “Instagram” che è una crasi fra “Instant Camera” e “Telegram”. Da sempre il fulcro di questo social network è l’istantaneità, l’immagine veloce, la condivisione rapida.
Tutto ciò porta a una contraddizione? Da una parte il funzionamento di Instagram potrebbe in effetti essere giudicato incompatibile con il senso della vita lenta. Come può un social network basato sulla condivisone rapida e immediata, sullo scrolling infinito e sulla transitorietà dei contenuti, andare d’accordo con una filosofia che promulga la lentezza, l’importanza di assaporare il dettaglio, di prendersi il proprio tempo per vivere? Da un altro punto di vista, però, istantaneità non significa per forza soglia dell’attenzione bassa e distrazione frenetica. Anche i piccoli momenti quotidiani di Vita Lenta sono in fondo istanti, sui quali veniamo invitati a restare un po’ di più. Come se ne esce?
La vita veloce è più veloce della vita lenta
Il problema più grande è che la vita veloce, appunto, è veloce, e che la vita lenta non può reggere il suo passo. Per quanto tutti, chi più chi meno, possiamo dirci critici in merito alla frenesia dei nostri tempi, tutti ne subiamo comunque il fascino. Il cibo spazzatura fa male alla salute, ma è buono; così come la compulsiva abbondanza di contenuti digitali fa male alla psiche, ma è attrattiva. Si può senz’altro discutere a lungo su quanto questa attrattività sia naturale o quanto sia invece stata indotta, a mo’ di dipendenza, dagli stessi social network. Ma fatto sta che molti aspetti delle nostre strutture sociali si basano ormai su determinati ritmi e stili di vita e che i nostri corpi e le nostre menti possiedono certi desideri che vogliono soddisfare.
La triste conseguenza è che le prospettive alternative al modello dominante trovano spazio soltanto fra le maglie del modello dominante stesso (Mark Fisher docet) e la rappresentazione della vita lenta può manifestarsi soltanto turbinio attraverso il rapido flusso di un social network. Pur di non rinunciare all’uso di Instagram, di rifiutare il suo modello, preferiamo accontentarci di quindici secondi di lentezza incastrati in mezzo a ore e ore di apatico scrolling. Come un piccolo parchetto in una zona industriale, Vita Lenta è, almeno per ora, la flebile ma pacifica illusione di un cambiamento possibile. O peggio, l’incolpevole simbolo dell’arrendevolezza.
Un problema di consapevolezza
Intendiamoci, lo stesso articolo che sto scrivendo in questo momento verrà veicolato in primo luogo sui social, e su Instagram in particolare. Il punto, quindi, non è un attacco diretto a Fanelli o alla sua pagina. La critica è rivolta al pensiero secondo il quale l’antidoto dall’interno possa davvero rappresentare una trasformazione concreta.
D’altra parte, è lo stesso Fanelli ad ammettere che il suo progetto non ha alcun intento trasformativo. In un’intervista per il magazine Deagolando, a cura di Giuseppe Cassara, ha dichiarato che «Vita Lenta non è un’associazione, non persegue obiettivi “politici”, non vuole capovolgere un sistema sostituendone un altro. Vita Lenta è un’ispirazione. È uno sguardo su un’alternativa.» Ma pur mostrando la possibilità di un’alternativa, la vita lenta obbedisce comunque alle logiche del sistema. Come scrive Michele Boroni in un articolo per Elle Decor: veicolando soltanto contenuti video «Vita Lenta, pur rifuggendo dalle tendenze imperanti dei social, è in pieno trend».
In tutto ciò non c’è nulla di male, ci mancherebbe altro, ma se questa consapevolezza è ben salda nella mente del creatore della pagina, sembra esserlo meno in quella dell’opinione pubblica. L’intervista di Cassara si intitola L’etica della lentezza: una pagina Instagram racconta l’alternativa alla società della performance. Ecco, più che un alternativa alla società della performance, rischia di essere un modo alternativo in cui la stessa si manifesta.