Recentissima è l’uscita per Adelphi della seconda edizione de Il coccodrillo, opera umoristica di Fëdor Dostoevskij, a cura di Serena Vitale.
In questo scritto, il famoso autore pietroburghese strizza l’occhio al Naso di Gogol’, dando vita ad un racconto umoristico che mette in luce il presagio del trionfo della borghesia, il culto del benessere e del profitto, fino alla passione per gli shopping center, e costruisce l’immagine di un «nuovo mondo» tanto risibile quanto mostruoso che troverà la sua vera nascita e il suo apice nel Novecento.
Pietroburgo, 13 gennaio 1865. In un negozio del Passage, la prima elegante galleria commerciale inaugurata nel 1848 sulla Prospettiva Nevskij, un tedesco espone a pagamento un coccodrillo. Il funzionario Ivan Matveič, uomo supponente e ignorante, e la sua bella moglie Elena Ivanovna vanno ad ammirare l’esotica attrazione con un amico di famiglia. Ma quando Ivan Matveič cerca di solleticargli il naso con un guanto, il coccodrillo lo inghiotte in un solo boccone.
L’unica soluzione è sventrare l’animale e liberare il malcapitato, idea giudicata «retrograda» da un progressista di passaggio. E lo stesso Ivan Matveič, dal ventre del coccodrillo, da lui descritto come grande, comodo, solo un po’ troppo odoroso di gomma, fa sapere che vuole restarsene lì dentro.
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L’idea è chiara: diventare famoso, sfruttando il fatto di essere sopravvissuto al pasto dell’animale e lanciando, per così dire, dall’interno nuove e bislacche teorie economiche. In questo modo, lontano dagli svaghi mondani, sostiene, potrà dedicarsi come un «nuovo Fourier» a migliorare le sorti del genere umano, e «dal coccodrillo verranno la verità e la luce».
Mentre al Passage la gente si accalca per vedere il «mostro», lo strambo funzionario continua a fantasticare sulle nuove magnifiche sorti e progressive della patria russa, arrivando anche a invitare la povera moglie a passare il resto dei suoi giorni in compagnia, nel ventre del rettile.