Torna la troupe più sbandata d’Italia. Invecchiati, ingrugniti, ma megalomani e fanfaroni come sempre. Dal 26 ottobre su Disney+ ecco Boris 4, la serie comedy diventata culto durante la pandemia. Scritta e diretta da Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, è prodotta da Lorenzo Mieli per The Apartment.
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Sono passati dieci anni, la serialità è stravolta. Niente tv generalista, ora vanno per la maggiore le piattaforme. La sceneggiatura non è più “democratica”, ma algoritmica. I soldi pochi come sempre. I tempi compressi. Per cui basta Occhi del cuore, ora René deve girare nientemeno che la Vita di Gesù (qualità!) per convincere una (generica, ma neanche troppo) piattaforma americana che impone agli sceneggiatori linee narrative teen e spazio alle minoranze etniche a finanziarla. Sì, anche se si parla del Vangelo.
Ferretti e soci, così, si scoprono «boomer che arrancano davanti alla tecnologia», parola di Arianna (Caterina Guzzanti). Tra un Duccio d’Arabia che sbarca in elicottero, Lopez reinventatosi produttore, Stanis cinquantenne in versione Gesù che ha sposato Corinna, piena di debiti, fondandoci una casa di produzione, un Biascica irretito dalle derive del linguaggio inclusivo che considera la piattaforma una figura geometrica e Alessandro ex schiavo che ha fatto carriera con gli americani, la scrittura recupera brio lisergico e felicità di ritmo del passate stagioni, anche senza il genio del compianto Mattia Torre.
Perché le prime due puntate di Boris 4, presentate in anteprima al Festival del Cinema di Roma il 23 ottobre, ripescano quel condensato di realismo farsesco e umorismo dei caratteri che rasenta il nonsense, eguagliando i picchi delle stagioni precedenti. La chiave è sempre la stessa: autoironia di una serie per piattaforma che racconta difficoltà e paradossi del fare serie per piattaforme. Per René Ferretti (Francesco Pannofino), infatti, «l’intelligenza di Disney+ anzitutto sta nel farsi prendere in giro: se Boris non graffia non è Boris».
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Boris 4 ha ancora il polso dell’Italia, oggi liquida e (più) fluida, ma pur sempre cialtronesca e teneramente arraffona. I personaggi sono più tronfi, più cinici, più psicolabili che mai, ma non perdono la patina da commedia all’italiana, né l’aderenza al reale stravolto. Unico neo: la satira alla fine può sembrare monocorde, con le piattaforme internazionali come unico bersaglio, senza aperture sociali e stoccate politiche. Ma sono solo le prime due puntate…
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