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Cosa c’è dietro la Cop27 che sta per iniziare

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Sabrina Del Fico

Dal prossimo 6 novembre si svolgeranno, a Sharm el-Sheikh, i lavori della 27sima Conferenza delle Parti organizzata dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. È la Cop27, un’occasione di incontro e dibattito sui temi della lotta al cambiamento climatico, un momento in cui i “grandi della Terra” si confrontano con le sfide del nostro presente: emissioni inquinanti, aumento delle temperature, scioglimento dei ghiacciai, esaurimento delle risorse energetiche fossili.

Gli esiti della Cop26, che si è svolta lo scorso anno in Scozia, sono stati piuttosto deludenti: tante chiacchiere, pochi accordi e non firmati da tutti i partecipanti. Nel complesso, la situazione è rimasta pressoché invariata. Greta Thunberg e gli altri giovani attivisti che sono stati invitati a partecipare agli eventi sono tornati a casa a mani vuote, mentre le loro richieste e i loro gridi di protesta sono rimasti inascoltati. Ecco cosa dobbiamo aspettarci da questo nuovo incontro.

Leggi anche: Non chiamatelo maltempo

Il programma della Cop27

La Conferenza delle Parti di quest’anno si svolgerà dal 6 al 18 novembre. In questi giorni capi di Stato, ministri e negoziatori, insieme ad attivisti per il clima, sindaci, rappresentanti della società civile e amministratori delegati, partiranno dai risultati raggiunti durante la Cop26 per agire su una serie di questioni fondamentali per affrontare l’emergenza climatica – dalla riduzione urgente delle emissioni di gas serra alla costruzione di resilienza e adattamento agli inevitabili impatti dei cambiamenti climatici, per mantenere gli impegni assunti per finanziare l’azione per il clima nei Paesi in via di sviluppo. 

Ogni giornata sarà dedicata a uno o più temi di discussione, che detteranno il ritmo dell’evento con l’obiettivo di giungere a soluzioni concrete. Ad esempio, il 10 novembre sarà la Giornata della Scienza della gioventù e delle generazioni future. L’obiettivo di questa giornata è garantire ascolto e attenzione alla voce delle generazioni future. I giovani partecipanti all’evento avranno la possibilità di confrontarsi con i responsabili politici e gli esperti per esprimere la loro opinione e il loro punto di vista.

Un’altra giornata che si preannuncia interessante è quella dedicata alla decarbonizzazione (11 novembre). Nel corso degli ultimi anni, aziende e altri attori privati in tutto il mondo hanno presentato le loro proposte per ridurre la propria impronta di carbonio e muoversi gradualmente verso la decarbonizzazione. Tuttavia, finora è mancato un coordinamento a livello globale. La giornata ha l’obiettivo di mettere in contatto le diverse parti coinvolte, affinché discutano di soluzioni comuni verso un’economia a zero emissioni di carbonio.

Dando un’occhiata al programma, le idee e i progetti sembrano non mancare. Ma la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni: c’è il rischio molto concreto che, proprio come l’anno scorso, alle parole e alle proposte non facciano seguito i fatti. Non è più tempo di «bla, bla, bla», per citare Greta Thunberg. C’è bisogno di agire e c’è bisogno che lo facciano tutti. Solo in questo modo si può sperare di arrestare l’avanzata della crisi climatica con il suo bagaglio di siccità, temperature sempre più alte, inondazioni e altre catastrofi naturali.

A questo link è possibile leggere il programma completo della Cop27.

Lati oscuri della Conferenza

Tuttavia, prima ancora che cominci, la Cop27 presenta già alcuni lati oscuri. A cominciare dalla scelta (discutibile) degli sponsor dell’evento – primo fra tutti, Coca-Cola che, nel 2020, si è classificata per il terzo anno consecutivo il peggior inquinatore da plastica al mondo.

Si pensi che il brand produce ogni anno circa 120 miliardi di bottiglie di plastica usa e getta, consumando petrolio, producendo emissioni inquinanti e immettendo nell’ambiente rifiuti che non possono essere riciclati. L’innovazione di attaccare il tappo alla bottiglia per evitare la dispersione di plastica nell’ambiente non è una soluzione utile al problema.

Foto: Cop27.

Ci si potrebbe chiedere dunque: che significato ha la presenza di Coca-Cola in un evento il cui obiettivo è risolvere il problema dei rifiuti plastici e contenere le emissioni di CO2 in atmosfera per scongiurare il rischio di superare l’aumento di temperatura globale di +1,5 °C? La risposta (ufficiale) la si può trovare nel comunicato congiunto rilasciato da Coca-Cola e Cop27 al momento della sigla dell’accordo.

The Coca-Cola Company lavora verso il suo obiettivo per il 2030 di una riduzione assoluta delle emissioni del 25 per cento e la sua ambizione di raggiungere zero emissioni nette di carbonio a livello globale entro il 2050. Attraverso la partnership Cop27, il sistema Coca-Cola mira a continuare a esplorare le opportunità per costruire la resilienza climatica in tutta la sua attività, catena di approvvigionamento e comunità, impegnandosi con altri attori del settore privato, Ong e governi per sostenere l’azione collettiva contro il cambiamento climatico.

Egitto e assenza di diritti umani

Un’altra questione su cui vale la pena soffermarsi un attimo riguarda la scelta dell’Egitto come sede della prossima Conferenza delle Parti da parte delle Nazioni Unite. Come dimostrano i recenti casi di Giulio Regeni e dell’egiziano Patrick Zaki, studenti oggetto di soprusi da parte della polizia egiziana (seppur per ragioni e con modalità diverse), l’Egitto è un Paese che ha ancora molto da fare nel campo dei diritti civili.

In un lungo editoriale pubblicato sul quotidiano inglese The Guardian, la giornalista canadese Noemi Klein ha definito la Cop27 in Egitto null’altro che un’operazione di greenwashing, ovvero un modo per mostrare al mondo una facciata ecologista e ambientalista mentre si continuano a ledere i diritti umani e a vietare la ricerca.

Leggi anche: Ecologismo di facciata: parliamo di greenwashing.

La giornalista cita in particolare la storia dell’attivista e informatico egiziano Alaa Abd el-Fattah, uno dei prigionieri politici di più alto profilo del Paese. Arrestato nel 2011 durante le proteste di piazza Tahrir con l’accusa di aver diffuso notizie false sul proprio blog, ha trascorso gli ultimi dieci anni in carcere senza poter vedere amici e familiari.

Come Alaa Abd el-Fattah, sono circa sessantamila gli oppositori politici detenuti nelle carceri egiziane con accuse fasulle e condannati senza un regolare processo, sottoposti ad atroci torture. Oltre a loro, centinaia di giornalisti, accademici, attivisti per i diritti umani e anche ecologisti sono stati molestati, spiati, bloccati nel Paese dove vige un clima generale di paura e repressione.

Ed è proprio in questo clima di terrore che si svolgerà la Conferenza delle Parti. Il governo egiziano si prepara ad accogliere e ascoltare i giovani attivisti per il clima provenienti da ogni parte del mondo, dimostrando di avere a cuore la salvaguardia del pianeta e i diritti di tutti. Ma è molto difficile non ricordare gli altri giovani attivisti, quelli della Primavera Araba di ormai un decennio fa, che ancora gridano libertà dai tuguri in cui sono stati buttati e di cui nessuno più ha la chiave.

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Sabrina Del Fico

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