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Gli Anelli del Potere, analisi e recensione della prima stagione – WiSerial

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Giacomo Stiffan

Gli Anelli del Potere ha diviso in maniera profonda i fan de Il Signore degli Anelli. Sui social la battaglia è aperta, fra chi la stronca per il poco rispetto al canone e chi la esalta per la potente messa in scena e un interpretazione più fresca di una delle parti più fumose del lavoro di Tolkien.

La serie è ambientata nella Seconda era, vari millenni prima delle vicende de Il Signore degli Anelli, e ha lo scopo di raccontare la creazione degli Anelli del Potere, compreso l’unico Anello.

Il materiale di partenza

La genesi di questa serie non è stata facile.

I produttori hanno acquisito i diritti cinematografici di una frazione infinitesimale dell’epopea tolkeniana, le Appendici de Il Signore degli Anelli e poco più. Si tratta di materiale scarso e frammentario, che dà poco margine di manovra agli sceneggiatori sulle vicende scritte da Tolkien, dato che, ad esempio, non possono utilizzare liberamente il materiale del Silmarillion.

Ne è un esempio il prologo, che narra le grandi battaglie tra i Valar e Melkor in maniera molto furba, gli va riconosciuto: non potendo citare molti aspetti della cosmogenesi tolkeniana e dei fatti della Prima era, come la Guerra d’Ira, essi vengono raccontati in termini vaghi, scaricando sulle immagini il compito di far comprendere agli spettatori la situazione di partenza. Un espediente che funziona bene, oltretutto con un impatto visivo non indifferente.

ATTENZIONE: DA QUI IN AVANTI SPOLIER

Meno materiale, più libertà

Ricapitolando, da una parte gli sceneggiatori avevano le mani legate per quanto riguarda il canone, dall’altra hanno avuto più mano libera per nuove storie.

Si sono concentrati su un momento poco narrato da Tolkien, ma il problema di una serie come Gli Anelli del Potere è che, sebbene si debbano narrare storie nuove, gli spettatori sanno già come la storia inizia, come finisce e, a grandi linee, come si svolge. Ci sono tappe obbligate per cui passare, quindi i colpi di scena sono – in teoria – già spoilerati.

Pensiamo a Sauron. Sappiamo che durante la Seconda era aveva ancora un corpo fisico che poteva mutare forma, sappiamo che c’è la sua mano dietro la forgiatura degli Anelli del Potere, sappiamo che quando tornò non venne riconosciuto.

Gli autori hanno risolto questo spoiler annunciato inserendo tre nuovi personaggi – Halbrand, lo Straniero e Adar – per rimescolare le carte. Sebbene a ben vedere Halbrand fosse il candidato numero uno, l’escamotage ha spiazzato la stragrande maggioranza dei commentatori, che almeno fino alle ultime puntate hanno riempito internet con mille teorie diverse, segno che l’espediente ha funzionato.

Ripetiamo insieme: è un adattamento

La tanto osannata trilogia di Peter Jackson aveva un materiale di partenza ricchissimo e addirittura eccessivo per una trasposizione cinematografica, mentre gli autori de Gli Anelli del Potere si sono trovati nella situazione opposta: poche briciole su cui costruire non un film bensì una serie, che deve per forza di cose tenere alta l’attenzione degli spettatori per non perderli per strada.

L’obiettivo è in parte raggiunto, in parte no.

Non nascondiamoci dietro a un dito: gli autori de Gli Anelli del Potere si sono presi libertà anche sul canone, e nelle prossime stagioni dovranno trovare il modo di sistemare un po’ di cose.

Il riferimento è ovviamente allo Straniero, il misterioso essere arrivato con una cometa, nato già vecchio ma affetto da amnesia, linguaggio compreso.

Nel finale viene associato in maniera palese agli Istari, cioè Maiar incarnati in corpi mortali e inviati dai Valar nella Terra di Mezzo per aiutare uomini, elfi e nani nella lotta contro Sauron. Per intenderci, gli Istari sono Gandalf, Saruman, Radagast e i due stregoni blu, citati da Tolkien ma di cui non si conosce la fine.

Il suo inserimento ne Gli Anelli del Potere è però un’incongruenza palese: stante a Tolkien gli Istari furono mandati nella Terra di Mezzo nella Terza era, non nella Seconda.

Si tratta di una retrodatazione di vari millenni, soprattutto se consideriamo che gli autori hanno seminato vari indizi per far pensare che si tratti di Gandalf (che nel canone è l’ultimo ad arrivare nella Terra di Mezzo, oltretutto). L’amicizia con i proto-hobbit e quella frase sul seguire il naso, già usata dal Grigio nella trilogia, sono segnali inconfondibili. Tanto che se alla fine non fosse Gandalf si tratterebbe di una vera e propria presa in giro degli sceneggiatori. Al contempo, se verrà confermato che si tratta di lui ci troveremo davanti a una storpiatura dei libri non indifferente.

Questo ha scatenato le ire dei puristi, per i quali si è trattato di un sacrilegio. Di primo acchito verrebbe anche da dar loro ragione. Ma pensandoci bene è normale che ci siano modifiche e, tutto sommato, si tratta di una variazione ininfluente ai fini della saga: cambia poi molto se Gandalf arriva nella Seconda era? Per lo spettatore no, per l’orgoglio ferito dei talebani della Terra di Mezzo a quanto pare sì.

La stessa trilogia di Peter Jackson, osannata dai fan, ha mutilato intere parti del lavoro di Tolkien, eliminato alcuni personaggi (pensiamo a Tom Bombadil), cambiato altri (Arwen che porta Frodo a Gran Burrone, per esempio) e alterato alcune vicende.

Eppure, molti se ne sono dimenticati. Sono passati due decenni da allora e nel frattempo un’intera generazione è cresciuta entrando in contatto con Tolkien per la prima volta proprio grazie a quei film. È un imprinting indelebile, che ha fissato in loro e in molti altri un ricordo di gioia unica, legato al fatto di vedere per la prima volta sul grande schermo una storia senza tempo. Con una qualità finale pazzesca, beninteso, ma comunque frutto di un rimaneggiamento pesante del materiale di partenza.

Facciamo pace con questo concetto: qualsiasi adattamento sarà sempre insoddisfacente per i puristi. Con la differenza che, nel caso de Gli Anelli del Potere, la sfida è molto più ardua: la storia non è già pronta come ne Il Signore degli Anelli, non c’è da tagliare ma da aggiungere, con un rischio molto più alto di deludere i fan.

Un gioiello per gli occhi

Quantomeno, una cosa di cui nessuno – nemmeno i puristi – può lamentarsi è la maestosità della messa in scena. I tecnici sono stati capaci di spendere molto bene l’altissimo budget, il più alto in assoluto per una serie.

Tutto è magnifico, imponente, immenso. Númenor, le città degli elfi e Khazad-dûm sono uno spettacolo per gli occhi. La regia sa sfruttare bene tutto questo ben di Dio e si avverte una certa spinta a fare inquadrature e movimenti che con un budget più basso forse non ci si sarebbe permessi di fare.

Gli effetti speciali sono ottimi, il trucco e i costumi di alto livello, sebbene non manchino dei brutti scivoloni (qualcuno ha detto Warg?). In alcuni frangenti può capitare di avvertire una sensazione di posticcio, come sui costumi dei Pelopiedi.

Una scrittura tra croce e delizia

Vari commentatori hanno criticato la trama, definita banale e spalmata su troppo screen time. Addirittura, altri l’hanno paragonata a una fan fiction.

È un giudizio comprensibile, ma davvero ingrato. Come abbiamo visto, gli sceneggiatori si sono trovati in una situazione difficilissima, per non dire un incubo: materiale di partenza spoileroso e frammentario, il fandom più tossico dell’intero globo nerdacqueo e un budget elevatissimo, da cui conseguono grandi possibilità ma ancor più mastodontiche aspettative da parte della produzione.

Era cruciale che questa stagione gettasse le basi per le prossime, e lo facesse governando con grande prudenza il rischio di fallire. La scelta è stata di concentrarsi sulla costruzione dei personaggi, con tempi più dilatati, senza spingere sull’acceleratore preferendo gettare fondamenta solide. Se ci pensiamo, è anche il metodo di Tolkien ne Il Signore degli Anelli, dove le prime trecento pagine sono soporifere, per usare un eufemismo.

Per alcuni è stato sinonimo di noia ma, per esempio, anche la prima stagione de Il trono di spade non era tutta questa frizzantezza. Eppure, a posteriori, è stato un investimento fruttuoso per quello che sarebbe arrivato dopo.

Mordor, la Svizzera del sud

Come Il trono di spade, Gli Anelli del Potere termina la stagione con alcuni importanti colpi di scena nelle ultime puntate. Se alcuni potevano ipotizzare che Halbrand fosse Sauron, la terraformazione di Mordor a opera di Adar attraverso la riaccensione del Monte Fato è stata una piacevole scossa alla narrazione. L’idea di mostrare Mordor come un’idilliaca zona alpina, poi distrutta e avvelenata per creare un habitat ideale per gli orchi è stata infatti una trovata degna di nota.

L’intera opera di Tolkien è permeata dal conflitto tra il rispetto per la natura – incarnato da elfi e hobbit – e l’industrializzazione selvaggia, pianificata da Sauron e Saruman e portata avanti dagli orchi. Esseri, questi ultimi, che sono stati deformati per vivere al meglio proprio in un ambiente tossico e oscuro.

Gli uomini sono nel mezzo non per caso: come gli orchi finiranno per industrializzarsi e avvelenare la Terra – l’epopea di Tolkien immagina la genesi del nostro stesso mondo, non dimentichiamolo – ma essendo privi della capacità degli orchi di sopravvivere alle condizioni da essi stessi create, rischiano di estinguersi con le proprie mani. Cioè quanto sta avvenendo oggi.

Cattivi, con un perché

A proposito degli orchi, Adar è uno dei personaggi più affascinanti di tutta la serie.

Dell’origine degli orchi si sa poco, se non che sono stati creati per mano di Melkor partendo da elfi rapiti nella Prima era e corrotti nel corpo e nell’anima attraverso indicibili torture. A quanto pare Adar è uno di questi elfi, una sorta di Adamo da cui discendono gli altri Uruk, che lo chiamano padre. Conserva ancora l’immortalità e i tratti somatici elfici, nonostante le evidenti cicatrici.

La sua particolarità di fungere da ponte tra elfi e orchi ci permette di gettare lo sguardo dall’altra parte, per esplorare le motivazioni dei cattivi. Ma non del villain in senso stretto, quanto di quel faceless army che tanto abbiamo visto ma di cui sappiamo davvero troppo poco.

Perché, diciamolo, Tolkien non si è certo speso per dare spessore agli orchi. Per Tolkien erano irredimibili, male incarnato come il loro padrone. Non importa cosa pensano: sono cattivi, punto.

Sebbene gli elfi, i nani e soprattutto gli uomini siano soggetti a sentimenti negativi e possano agire in maniera malvagia, non si ha notizia di orchi volti al bene. Al di là del fatto che sono corrotti da Melkor, perché? Come funziona la logica dietro alle loro azioni?

Gli Anelli del Potere non si spinge ancora a rispondere a queste domande, ma questa prima stagione ci dà dei succulenti assaggi tramite Adar.

Un Sauron con un po’ di logica

Anche il grande villain della saga non nasce malvagio. Sauron è un Maia, come Gandalf. Prima di essere corrotto da Melkor svolgeva la sua funzione al servizio del Vala Aulë, motivo per cui è il più grande conoscitore della metallurgia nella Terra di mezzo. Ma, nel mondo di Tolkien, non c’è redenzione possibile per chi è corrotto: Sauron è e sarà sempre il Male.

Partendo da questo, ne Gli Anelli del Potere gli autori provano a costruire un personaggio più sfaccettato. Diversamente dal Male astratto, muto e implacabile che Sauron rappresenta nella Terza era sotto forma dell’occhio di Barad-dûr, l’angelo caduto che vediamo nella serie – come il suo contraltare Lucifero – è un’entità melliflua e tentatrice, capace di leggere nella mente delle persone per sedurle offrendo loro ciò che più vogliono.

Galadriel è davvero così sbagliata?

La furia dei puristi si è concentrata in particolar modo su Galadriel, sia per l’interpretazione che per la scrittura.

Com’è possibile che una creatura angelica e sempre rivolta alla luce come la Dama dei boschi possa essere rappresentata come una soldatessa affetta da Ptsd, talmente gonfia di odio da parlare in tutta tranquillità di genocidio senza battere ciglio?

Dispiace per gli haters, ma Galadriel ha sempre avuto un lato oscuro, anche nei libri. Lei stessa ne è consapevole, e nei libri come nella serie rifiuta di tornare a Valinor in quanto ritiene sé stessa indegna di tale onore. Rifiuterà di farlo anche per i millenni successivi, sempre consapevole della necessità di espiare le sue azioni passate. Conscia della sua dualità, riuscirà a vincere l’oscurità interiore solo durante l’incontro con Frodo, nel quale l’hobbit le offrirà l’unico anello. Fu la consapevolezza di aver vinto quella terribile tentazione a farle realizzare di aver superato il test e di aver finalmente espiato i suoi peccati. Così, ormai pura, sarà pronta per lasciare la Terra di Mezzo.

Ma alla data della Seconda era, Galadriel era ancora nel pieno del suo conflitto interiore e la scelta degli autori de Gli Anelli del Potere di rappresentarla in questo modo è del tutto plausibile.

Un’interpretazione (mal) criticata

Quanto all’interpretazione di Morfydd Clark, c’è da chiedersi se certi critici hanno il prosciutto sugli occhi. Si trova a gestire un personaggio per definizione algido e distante, addirittura più dello standard della sua razza. Praticamente una statua di sale, anche se interpretata dalla strepitosa Cate Blanchett: non è una questione di interprete, ma di personaggio. Nonostante questo Morfydd Clark riesce a trasmettere l’idea che quella di Galadriel è una maschera, che la vera Galadriel che si cela dietro quella scorza dura è molto più vulnerabile di quello che sembra.

In particolare in alcuni primi piani è in grado di veicolare questa complessità in maniera magistrale, gliene va dato atto.

In un’intervista a Variety, Clark ha risposto alle critiche e ha fatto un ragionamento condivisibile: gli elfi nella Terra di mezzo evolvono come chiunque altro, con la differenza che sono immortali. Per esempio, nella Prima era sono ancora esseri immaturi, ben lontani dalla saggezza che li contraddistingue nella Terza: si combattono tra loro, disobbediscono ai Valar, commettono efferatezze indicibili e sono soggetti a sentimenti di vendetta e sete di potere.

Credere che gli elfi siano personaggi statici e privi di qualsivoglia evoluzione solo perché sono immortali è molto superficiale. Galadriel nella Seconda era è ancora giovane e sanguigna, una soldatessa rinomata, e ci vorranno millenni prima che diventi la Dama della luce di Lothlórien.

L’unica critica oggettiva – per quanto al limite del body shaming – è sul physique du rôle: Galadriel è nota per la sua elevata altezza e Clark è piuttosto bassa, decisamente più bassa degli altri attori.

La rivelazione di Sauron

Mendace e abile trasformista, Sauron si presenta sotto la forma di Halbrand, un naufrago incontrato da Galadriel. Sarà lei a farlo incontrare con Celebrimbor, e sarà di nuovo lei a scoprire in extremis il suo inganno, evitando così la corruzione totale degli Anelli da parte di Sauron, sacrificando il pugnale del fratello composto dai puri metalli di Valinor e per questo incorrotto. Qualità che trasferirà agli Anelli, preservandoli dal controllo di Sauron (sebbene abbiano comunque un legame profondo con quello che sarà l’unico Anello).

È quando Galadriel realizza la sua vera identità che vediamo come agisce il potere di Sauron.

In merito a questa scena, gli autori hanno fatto un lavoro eccezionale: Sauron dice a Galadriel di non averle mentito – ed è vero, era lei a mentire a sé stessa – e fornisce allo spettatore una logica per le sue azioni.

Sauron non è più cattivo perché è così che deve essere. Lui è convinto di essere l’eroe della Terra di Mezzo, l’unico che vede le cose con chiarezza e può – dal suo punto di vista – salvarla.

Finalmente ci viene fornito un risvolto psicologico di questo essere, e possiamo comprendere (pur non condividendole) le sue motivazioni. Tutti, salvo casi patologici, siamo convinti di fare la cosa giusta: anche la persona più spietata, Sauron compreso. Questa non è una giustificazione: Sauron rimane il villain per antonomasia, ma arricchisce il suo personaggio e il merito è di una scrittura in questo frangente ispirata (almeno qui diamogliene atto). Sauron non è più un cattivo irrazionale alla stregua di un serial killer: la sua malvagità non è un mero istinto animale, ma il frutto di una perversa logica.

Sempre in questa scena, Sauron opera la sua luciferina tentazione su Galadriel, chiedendole di essere la sua regina: lui le darebbe il potere di salvare la Terra di Mezzo e lei lo manterrebbe nella luce.

Il dubbio viene spontaneo: Sauron è sincero? Abbiamo visto che è stato in grado di portare Galadriel dove voleva senza aver bisogno di mentire: posto che sta tentando di corrompere Galadriel, se lei dicesse di sì sarebbe davvero quello il suo piano, o è conscio che Galadriel non sarebbe altro che una sua schiava?

Non è un caso che usi le stesse parole che poi Galadriel dirà a Frodo durante la prova dell’Anello millenni dopo, in un collegamento riuscito alla perfezione: Galadriel era convinta che quella proposta fosse reale ma anche che ne sarebbe stata corrotta, segno che alla fine Sauron è pur sempre il Male, come avrebbe voluto Tolkien.

I difetti non mancano

La struttura della trama è costituita da quattro filoni narrativi: Galadriel (e Sauron) con i numenoreani, Elrond e i nani, lo Straniero e i Pelopiedi, Arondir e gli uomini del Sud. Nel corso della serie a fare da ago che cuce tre trame su quattro sono Galadriel e, com’è ovvio, Sauron.

Fa storia a sé il filone dei Pelopiedi, che è quello più deboluccio e a tratti stucchevole, almeno fino all’incontro dello Straniero con le sacerdotesse di Sauron e la rivelazione della sua natura.

Gli Anelli del Potere infatti non è certo una serie perfetta. Se parliamo di scrittura i problemi ci sono, come le tempistiche. La Terra di Mezzo è molto grande: la cavalcata di sei giorni di Galadriel e Halbrand per raggiungere Lindon da Mordor non sta né in cielo né in terra (oltretutto, Halbrand non era ferito in maniera molto grave?), così come le navi di Númenor, che sfiorano il teletrasporto.

E anche se gli elfi ninja sono tutto sommato perdonabili – parliamo pur sempre di un franchise nel quale Legolas surfava su uno scudo scoccando frecce a ripetizione – meno lo sono certi espedienti banalotti per far proseguire la trama. Pensiamo al disegno del tridente che girato diventa Mordor, o all’inserimento delle sacerdotesse di Sauron il cui unico scopo dal punto di vista narrativo è dire che lo Straniero non è Sauron ma un Istari.

Che la serie sia lenta è un dato di fatto, sebbene – come abbiamo visto – lo sia per un motivo preciso. Come molte altre uscite negli ultimi anni (Disney in primis), anche Gli Anelli del Potere soffre un ulteriore rallentamento negli episodi centrali.

Cosa ci aspetta il futuro

Rimangono varie linee narrative aperte. Non sappiamo che fine abbia fatto Isildur (ma è per forza vivo, visto che avrà un ruolo obbligato più avanti) e non sappiamo cos’ha visto sua sorella nel Palantir scoperto nelle stanze segrete del re di Númenor.

Va chiarita in maniera esplicita l’identità dello Straniero (che sì, è Gandalf, ma è come per i morti, finché non vedi il cadavere non puoi esserne sicuro) e il motivo per cui debba andare a est, l’antico dominio di Sauron.

A proposito di Sauron, sappiamo che è a Mordor, ma quale sarà il suo prossimo passo? Dobbiamo ancora assistere alla forgiatura degli altri Anelli del Potere, quelli che poi darà ai nani e agli uomini, per non parlare della guerra dell’ultima alleanza, della caduta di Númenor, e dei tanti fatti che sappiamo che dovranno per forza accadere.

Rimane da chiarire il come si arriverà a questi nodi obbligati della trama. Tutto è in mano agli showrunner della serie: auguriamoci che abbiano le idee chiare.

Pagelle

Regia

L’alto budget ha di certo agevolato il lavoro dei registi, liberi di realizzare una messa in scena spettacolare. In tal senso il mondo ideato da Tolkien ben si presta a questo tipo di operazione.

In linea generale non ci sono sbavature e il livello si mantiene sempre alto. Degna di nota la fotografia, in particolare dopo l’eruzione del Monte Fato.

Voto: 8,5

Sceneggiatura

Una scrittura che ha diviso i fan con l’accetta. È vero che il materiale di partenza non viene trattato con i guanti bianchi, ma è anche vero che un minimo di modifiche è necessario per scrivere qualcosa di meno scontato. Con i pochi frammenti su cui potevano lavorare, il risultato è soddisfacente.

Ottima la trovata di inserire tre possibili Sauron fin dal principio, senza (ancora?) presentare Annatar. Alcuni espedienti narrativi sono però grossolani, e il ritmo in certe parti troppo lento. Ma è una serie che raggiunge il suo scopo, intrattenere, e lo fa gettando basi solide per le prossime stagioni attraverso una certosina costruzione dei personaggi.

Voto: 7,5

Colonna sonora

Diversa dai film di Jackson, eppure in linea con essi. Maestosa e imponente in accordo con le grandi scene, malinconica ed evocativa quando serve. Per tutta la durata della serie le musiche sanno esaltare ciò che vedono gli occhi, in maniera impeccabile.

Voto: 8,5

Effetti speciali e costumi

Una delle migliori Cgi vista in un prodotto seriale, in assoluto. Il budget, ovviamente, fa la differenza. Tranne i Warg, quelli fanno pena.

Alti e bassi sui costumi. Posticci quelli dei Pelopiedi, tanto da sembrare appena usciti da una convention di cosplayer. Diverso – ma coerente – l’impatto visivo degli elfi.

Armamenti e corazze in linea generale sono di livello eccellente. Ma togliete il blush a chi truccava gli hobbit, per carità.

Voto: 7,5

Cast

Morfydd Clark

Le mancano parecchi centimetri per assomigliare alla Galadriel dei film ma – nonostante sia rischioso scriverlo – la sua prestazione è convincente.

Interpreta una Galadriel diversa: giovane, cocciuta, irruenta, ben lontana dalla saggia Signora di Lothlòrien. Alcuni dicono che sia monoespressiva, ma sembrano più commenti per partito preso e viene da pensare che abbiano visto un’altra serie. Galadriel è un personaggio di per sé non troppo trasparente, nemmeno nella versione più vecchia e saggia di Cate Blanchett.

Voto: 8,5

Charlie Vickers

Gira voce che gli abbiano detto che il suo personaggio era Sauron solo a riprese inoltrate. Che sia vero o meno, restituisce un ottimo Halbrand: affascinante, svogliato e riottoso a seguire Galadriel, si percepisce in lui una certa oscurità, ma non troppa. Sembra un normale umano, tutto sommato.

In teoria, la sua versione di Sauron dovrebbe finire presto, essendo lui un mutaforma: prima o dopo sarà rimpiazzato da Annatar.

Voto: 8

Lloyd Owen

Il suo Elendil è magnifico: atletico, ma col viso segnato dal mare e dal sole, gli basta uno sguardo per comunicare ciò che prova. Ha la classica faccia da severo ma buono e promette molto bene: speriamo di vederlo di più nella prossima stagione.

Voto: 8,5

Maxim Baldry

Nonostante non abbia tantissimo minutaggio, la sua interpretazione è convincente, calda, coinvolgente. Non si sa che fine abbia fatto il suo Isildur, ma abbiamo la certezza che è sopravvissuto: ha una plot armor grande come una casa.

Voto: 8

Cynthia Addai-Robinson

Una Miriel decisa ed energica, per certi versi impulsiva, ma dopo la menomazione molto più insicura: tutto questo viene ben veicolato. Funziona.

Voto: 7,5

Trystan Gravelle

Poco minutaggio ma ruba la scena. Sarà la presenza scenica alla Carlo Marx, ma il suo Pharazôn trasmette un carisma innato e oscuro. Bravo.

Voto: 8

Daniel Weyman

Non è Ian McKellen, nessuno potrà mai esserlo.

Chi se ne frega, il suo Gandalf (?) è strepitoso, prima innocente come un bimbo, poi combattuto, infine diventa lui, l’Istari preferito da chiunque. In generale, un’interpretazione calda e innocente, davvero sublime.

Voto: 9

Markella Kavenagh

Se Galadriel è monofaccia, Nori è poi molto diversa? No, nemmeno lei è pessima come vorrebbero alcuni, ma a fronte di un nuovo personaggio e quindi di molta più libertà nel gestirlo (è pure un hobbit, più solare di un elfo), troppo spesso restituisce un’espressione imbambolata un po’ meh.

Voto: 6,5

Robert Aramayo

Un ottimo Elrond: regale come un elfo, caloroso come un umano. Alza un angolo della bocca e ha già detto tutto. Bravissimo.

Voto: 9

Owain Arthur

Abbiamo capito che i nani sono scozzesi bassi e con la barba lunga. Il suo Durin però è dolcissimo, musone e rubizzo come un nano dev’essere. Ne vogliamo ancora.

Voto: 8

Ismael Cruz Córdova

Altro personaggio creato dagli autori della serie, è forse quello con più cazzimma. Nonostante la sua faccia imbronciata – sembra abbia pestato una cacca di cane in ogni scena – l’interpretazione funziona e lascia trasparire i suoi sentimenti. Meglio delle aspettative.

Il suo casting ha fatto imbestialire i fan più talebani perché… è nero, il primo elfo nero in un prodotto tratto dal mondo di Tolkien. È arduo anche solo immaginare in che cloaca devono aver trasformato il suo Messenger gli haters. Santo subito.

Voto: 8

Nazanin Boniadi

La prosperosa guaritrice (che i costumisti non fanno niente per nascondere) è l’espediente per inserire un amore interraziale nella storia. Dolce e materna, alla sua Bronwyn non si può non voler bene.

Voto: 7,5

Joseph Mawle

Ha uno dei personaggi più fighi e con più possibilità narrative. La sua interpretazione di Adar è eccellente: malinconico e ambizioso allo stesso tempo, rappresenta quello che in nessun libro di Tolkien è mai apparso, ma che ha suscitato la curiosità di qualsiasi lettore. Davvero bravo.

Voto: 9-

Voto globale al cast (ponderato in base al minutaggio): 8

Pro

  • una messa in scena pazzesca
  • un ottimo cast (sì, anche Galadriel)
  • una solida costruzione dei personaggi

Contro

  • alcuni espedienti narrativi sono ridicoli
  • trucco talvolta molto scarso
  • ritmo in generale lento

Voto globale: 8

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Giacomo Stiffan

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