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Economia

Quanto ci costano evasione fiscale e Reddito di cittadinanza

Published by
Federica Di Chiara

Il reddito di cittadinanza, sin dal principio, non è stato esente da critiche trasversali, sia di destra che di sinistra. La prima a favore della completa abolizione, la seconda di una sostanziale riforma dello strumento. Le accuse più forti sono quelle relative al costo, alle truffe e alla sua effettiva utilità per ridurre la povertà e come politica attiva per il lavoro.

Volendo analizzare questi fattori, emerge come l’introduzione del reddito di cittadinanza abbia contribuito a una lieve diminuzione della povertà assoluta e al ricollocamento di una sola persona su sette, oltre ad aver consentito truffe per 127 milioni di euro tra il 2020 e il 2021. Il reddito di cittadinanza, nella sua attuale formulazione, presenta innumerevoli difetti, il che può giustificare l’accanimento di molti partiti politici (e degli onesti lavoratori) nei suoi confronti. Ma se si mostrasse anche solo la metà della stessa ostilità nei confronti dell’annoso problema dell’evasione fiscale, forse sarebbe possibile ridurre la pressione fiscale per tutti. Quanto costa il reddito di cittadinanza allo Stato? E l’evasione fiscale?

Leggi anche: Lotta all’evasione: le novità del decreto fiscale

Un confronto tra reddito di cittadinanza ed evasione fiscale

Per quel che concerne i costi, l’investimento da parte dello Stato ammonta a quasi 20 miliardi di euro per i primi tre anni di esistenza del Reddito di cittadinanza, come indicato da un rapporto Inps di inizio 2022. Una media di 6,6 miliardi l’anno.

E per quanto riguarda l’evasione fiscale?

Secondo un rapporto della commissione europea del 2019 , l’Italia detiene il triste primato di Paese europeo che registra la maggiore differenza tra l’Iva realmente versata e quella che i contribuenti avrebbero dovuto versare in termini assoluti, seguita dalla Germania. In termini relativi è, invece, al terzo posto, preceduta solo da Romania e Grecia.
Un rapporto del Ministero dell’Economia e delle Finanze afferma che «nel 2018, l’ammontare complessivo del tax gap, fiscale e contributivo, si assesta a circa 102,8 miliardi di euro, di cui 90,6 miliardi di euro di mancate entrate tributarie». Circa 103 miliardi nel solo 2018.
Gli ultimi dati disponibili risalgono al 2019, quando l’evasione fiscale ammontava a circa 80 miliardi con l’Irpef da lavoratore autonomo e impresa al podio, seguita dall’Iva e dall’Ires.

In considerazione dei numeri, la riduzione del tax gap è stata inserita tra gli obiettivi del Pnrr e ne è stato riconosciuto il ruolo nell’aggravamento del prelievo sui contribuenti onesti, nella sottrazione delle risorse al bilancio pubblico e nell’alterazione delle condizioni di concorrenza.
Per raggiungere l’ambizioso obiettivo della riduzione dell’evasione fiscale, il Pnrr intende favorire un rafforzamento della compliance attraverso la dichiarazione precompilata Ivae le comunicazioni per l’adempimento spontaneo, oltre al potenziamento dei controlli attraverso avanzati strumenti di data analysis e banche dati.


Sebbene un primo strumento per combattere l’evasione fiscale possa essere l’incentivo all’utilizzo della moneta elettronica, la Lega ha proposto al neo Governo Meloni un aumento del tetto massimo dei pagamenti in contanti da duemila a diecimila euro, sostenendo che non ci sia alcun collegamento con la lotta all’evasione.

Nel resto d’Europa, molti Paesi hanno limiti ben più elevati di quello esistente in Italia; in Germania è persino possibile pagare oltre diecimila euro in contanti esibendo un documento di identità. Ma il gioco vale la candela? Secondo uno studio di Bankitalia dello scorso anno, esiste un nesso tra l’utilizzo del contante e l’estensione dell’economia sommersa: in particolare, si può assistere all’aumento tra lo 0,8 per cento e l’1,8 per cento dell’economia sommersa a seguito dell’aumento dell’1 per cento delle transazioni in contanti.

L’accanimento nei confronti del fallimentare reddito di cittadinanza assume le sembianze di una guerra tra poveri e una sua necessaria riforma o abolizione rappresenta solo la punta dell’iceberg di quanto sarebbe doveroso adottare per garantire maggiore distribuzione della ricchezza, migliori servizi e minore pressione fiscale a favore di chi, nel Bel Paese, rispetta le regole.

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Federica Di Chiara

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