Tre buoni motivi per non guardare i Mondiali in Qatar 2022 (oltre al fatto che l’Italia non partecipa)

In questi giorni l’attenzione mediatica del mondo è concentrata sul mondo del calcio e, in particolare, sui Mondiali in Qatar. Tutt’altro che una festa dello sport e della pace fra i popoli, questi campionati mondiali saranno ricordati per essere stati «un’aberrazione ecologica con migliaia di morti», per citare la definizione dell’ex calciatore francese Eric Cantona. Vediamo cosa c’è dietro lo sfarzo e le luci di un Paese, il Qatar, che è sotto i riflettori del mondo.

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Un problema umano

La costruzione degli stadi che stanno ospitando le partite e di tutte le altre infrastrutture che stanno permettendo lo svolgimento dei mondiali si è basata sullo sfruttamento spietato della manodopera. Un’inchiesta indipendente dell’organizzazione umanitaria Amnesty International ha denunciato le condizioni di schiavitù in cui sono stati tenuti coloro che hanno contribuito alla costruzione dei nuovi stadi o al restauro delle strutture esistenti.

La maggior parte della forza lavoro impiegata nella grande macchina dei Mondiali è rappresentata da immigrati provenienti da Paesi come India, Nepal e Bangladesh e giunti in Qatar per sfuggire alla povertà e alla disoccupazione. Per ottenere un lavoro in Qatar, c’è bisogno di pagare una tassa che va dai 500 ai 4.300 dollari ad agenti di reclutamento senza scrupoli. Molti immigrati, quindi, si sono indebitati e hanno dovuto accettare un lavoro in condizioni di schiavitù.

Senza permesso di soggiorno o un contratto di lavoro, i lavoratori non hanno mai potuto lasciare i cantieri, temendo di essere arrestati o multati. Anche il loro passaporto è stato requisito dagli agenti di reclutamento, in modo che i lavoratori non avessero la possibilità di scappare nottetempo, almeno finché il loro “contratto” non fosse scaduto.

E così, tutti questi immigrati si sono trovati imprigionati in un campo di lavoro le cui condizioni sono simili a quelle di un lager: in alloggi angusti e sporchi che non rispettano i minimi standard di sicurezza, con letti a castello e camerate sovraffollate, con orari di lavoro disumani. Se qualcuno osava lamentarsi, subiva minacce e violenze (anche fisiche) dai capicantiere, come confessano alcuni degli operai ai volontari di Amnesty International.

Infine, le paghe sono state miserrime – non si arrivava neanche a 200 dollari al mese – e per molti mesi i dipendenti non sono stati retribuiti. Chi ha osato lamentarsi per questo motivo è stato denunciato come immigrato irregolare e consegnato alle autorità.

Ma non si parla solo di sfruttamento della manodopera e condizioni di lavoro disumane: questi mondiali sono davvero macchiati di sangue. Come riportato dalla testata britannica The Guardian, più di 6.500 lavoratori migranti provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka sono morti in Qatar da quando il Paese ha vinto il diritto di ospitare la Coppa del Mondo dieci anni fa – una media di 12 lavoratori a settimana dal 2010 al 2021.

Si tratta forse di cifre al ribasso, poiché i lavoratori morti potrebbero essere molti di più. Questi numeri, infatti, non contemplano i lavoratori migranti giunti in Qatar da altri Paesi, come Filippine e Kenya, né i decessi avvenuti negli ultimi mesi. Non dimentichiamo che, dietro le vittime, ci sono centinaia di storie familiari, di persone che hanno perso un caro senza sapere neppure perché e senza ricevere alcun tipo di risarcimento.

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Un problema ambientale

C’è anche una questione ambientale molto seria legata a questa grande macchina che sono i Mondiali in Qatar – anzi due. Il fatto di aver concentrato le partite in un lasso di tempo molto breve, in modo da limitare al minimo gli spostamenti aerei delle squadre, non basta certo a mitigare gli effetti dell’inquinamento provocato dalle infrastrutture.

Il primo problema è legato ai processi di desalinizzazione messi in atto dal Paese per rendere disponibili grandi quantità di acqua potabile a partire dall’acqua marina. Si tratta di processi molto energivori, che richiedono un massiccio utilizzo di fonti energetiche fossili. Inoltre, uno dei prodotti della desalinizzazione, oltre all’acqua potabile, è la salamoia (la concentrazione di sale sottratto all’acqua), che viene rigettata in mare. Ciò aumenta la salinità dell’acqua marina e mette a repentaglio la sopravvivenza delle barriere coralline. Si pensi che, solo per innaffiare il tappeto erboso degli stadi, secondo un rapporto dell’agenzia stampa Reuters, sarebbero necessari 10.000 litri di acqua al giorno. Questo si traduce in un aumento del fabbisogno idrico giornaliero superiore al 10 per cento per il Paese, e in un aumento della salinità del mare.

Un altro problema, non meno importante, riguarda le emissioni di gas serra e le affermazioni sulla neutralità del carbonio fatte dalla Fifa. La Federazione Internazionale pubblicizza i mondiali in Qatar come il primo torneo sportivo a zero emissioni della storia, ma gli ambientalisti non sono d’accordo con questa definizione.

L’Ong ambientalista Carbon Market Watch si è occupata di monitorare le emissioni inquinanti connesse ai mondiali e smentisce le dichiarazioni ufficiali della Fifa. Come afferma il direttore, Gilles Dufrasne:

Sarebbe fantastico vedere l’impatto sul clima dei Mondiali Fifa essere drasticamente ridotto. Ma l’affermazione della neutralità del carbonio che viene fatta semplicemente non è credibile. Nonostante la mancanza di trasparenza, le prove suggeriscono che le emissioni di questa Coppa del Mondo saranno considerevolmente più alte di quanto previsto dagli organizzatori. Ed è improbabile che i crediti di carbonio acquistati per compensare queste emissioni abbiano un impatto sufficientemente positivo sul clima.

Un problema etico

L’ultimo motivo per cui non dovremmo guardare i mondiali di calcio in tv è di natura etica. Il Qatar è un Paese con molte restrizioni e pochissimi diritti. Come abbiamo spiegato, nonostante riforme e ammodernamenti, le leggi sul lavoro (soprattutto quello dei migranti) non tutelano i diritti dei lavoratori e permettono ancora pratiche illecite molto simili alla schiavitù. La libertà di espressione e aggregazione resta un diritto solo sulla carta, mentre le autorità locali continuano con ogni mezzo (anche violento) a soffocare le voci di dissenso e reprimere proteste e scioperi.

Anche le donne continuano a subire discriminazioni nella legge e nella pratica: restano per tutta la vita legate a un tutore uomo – sia esso il padre, il fratello o il marito – a cui devono chiedere il permesso per tutte le decisioni chiave della loro vita, come sposarsi, studiare, lavorare, viaggiare. Le leggi a tutela della famiglia continuano a essere a sfavore delle donne, rendendo loro difficile il divorzio. 

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Infine, in Qatar l’omosessualità è considerata un reato penale, punibile con la reclusione fino a sette anni. Per sostenere i diritti della comunità Lgbtq+, i giocatori di numerose squadre europee stanno protestando in maniera pacifica come possono, nascondendo arcobaleni e cuori nelle loro divise o sulle scarpette con i tacchetti, oppure tappandosi la bocca in segno di protesta contro l’impossibilità di esprimere la propria opinione sui diritti umani – come hanno fatto qualche giorno fa i giocatori della nazionale tedesca che, al momento dell’inno nazionale, si sono tappati la bocca (le immagini di questo gesto di protesta non sono state trasmesse dai media ufficiali).

Insomma, alla fine di tutto, abbiamo ancora voglia di metterci sul divano e guardare la partita?

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