Quando si parla di intrattenimento per adulti, come nel caso di OnlyFans, si tocca sempre un tasto molto delicato: tralasciando tutti i tabù di natuara religiosa o conservatrice, l’argomento risulta per essere divisivo anche tra i più progressisti. Anche all’interno del femminismo, questo è sempre stato un motivo di scontro con le correnti più radicali che vedono come negativa ogni forma di mercificazione e oggettificazione del corpo femminile, mentre le correnti liberali, al contrario, vedono il guadagno economico come una forma di riappropriazione del corpo, e quindi di empowering, da parte delle sex worker.
Per OnlyFans sembra che il discorso non valga. Infatti sulla stampa sembrerebbe aver vinto la seconda narrazione, con quasi solo articoli di elogio. Un ennesimo caso di narrazione liberale/liberista spinta dalla stampa, che tendenzialmente preferisce quell’area politica snobbando le prevedibili e stantie critiche di estremisti e tradcon? Ovviamente no. Gli unici articoli non troppo entusiasti appaiono quasi solo a seguito di casi di cronaca, troppo ghiotti per non essere riportati, anche a costo di scomodare fatti grotteschi.
Sia chiaro, parlando di OnlyFans è praticamente impossibile esimersi da un giudizio morale: sia che si scelga una amoralità cinica, sia che si scelga di parteggiare per un attore della filiera o meno, stiamo in ogni caso applicando il nostro sistema etico. Ne consegue tutto il relativismo del caso, caratteristica da tenere a mente prima di sbilanciarsi in un elogio o una filippica.
La realtà è che l’argomento viene spesso trattato con estrema superficialità, con OnlyFans utilizzato solo per portare avanti la propria tesi. A uno sguardo più attento, ci accorgiamo che la piattaforma è molto più controversa di quanto non sia raccontanta.
Nella narrazione mainstream ci si limita a parlare di quanto la piattaforma sia cresciuta di utenza, soprattutto durante il lockdown del 2020, e di come questa permetta di vendere le proprie immagini di nudo con estrema facilità e il massimo controllo, senza fronzoli e senza passare dalle agenzie. Non è proprio corretto.
Innanziutto ci sarebbe da dire che OnlyFans non ha come unico contenuto i nudi integrali, ma anche (e non in quantità trascurabili) i lewds, ovvero immagini principalmente pensate per un pubblico adulto ma che si limitano a semi-nudità: nulla di più osceno di ciò che vediamo sulle spiagge in estate o in un qualunque programma con delle veline. Alcune creator, come la celeberrima Belle Delphine, si sono rese note anche senza dei nudi integrali. Certo, l’idea di bannare i contenuti espliciti dalla piattaforma non è stata presa bene su Internet.
In seconda istanza, OnlyFans non ha né inventato né reso popolare l’idea di vendere questo tipo di contenuti sotto abbonamento: l’idea era già nota e utilizzata su piattaforme come Patreon, sin dalla nascita di questa. Esemplare è forse Jessica Nigri, una tra le prime modelle di cosplay a farne un mestiere, che oggi è tra le onlyfanser più seguite ma che ha iniziato la sua carriera proprio con Patreon. Il valore aggiunto di OnlyFans è la possibilità di interagire coi creator con lo specifico intento di favorire la creazione di relazioni parasociali, ovvero legami affettivi con persone con cui non c’è un’interazione diretta. Il fenomeno è noto e studiato già dalla sua comparsa con le celebrità televisive, ma su Internet si è manifestato in nuove forme.
In realtà, anche in questo, OnlyFans non ha inventato nulla di nuovo. Già con servizi alla stregua di Chatubate, si sono diffusi dei modelli di esperienza della pornografia alternativi al classico sito di video per adulti, con delle forme di interazione diretta con i creatori di contenuti (solo che, in quel caso, sono legati alla performance trasmessa in streaming in diretta).
L’interazione avviene principalmente via chat, ma attraverso questa possono anche essere inviati, previo pagamento, dei contenuti personalizzati. Ovviamente, quanto e in che modo interagire è deciso dalle modelle.
Tutto qui. La semplicità d’uso del servizio è proprio uno degli elementi che ha reso celebre la piattaforma.
La differenza tra OnlyFans e altre piattaforme per adulti è proprio il portare all’estremo in modo più o meno volontario, ma sicuramente by design, la formazione di realazioni parasociali al limite della dipendenza.
Anche non considerando casi limite come la perversione dei money-slave, in cui l’eros si basa proprio su uno sfruttamento economico da parte di uno dei due membri della coppia, quest’aspetto è problematico sia per chi vende contenuti sia per chi li acquista.
Per i primi (quasi sempre donne), non sono rari i casi di cronaca di stalking nei confronti delle modelle, mentre molestie e altre problematiche legate a utenti che travisano i limiti di un rapporto tra fan e modella sono all’ordine del giorno. Il tutto avviene nella più totale incapacità della piattaforma di prevenire o risolvere questo genere di problema.
Per chi compra, le problematiche sono meno evidenti. Il rapporto parasociale con una o più modelle può diventare, nel migliore dei casi, un modo escapista per sfuggire alla propria incapacità di creare relazioni nel mondo reale. Nei casi più gravi (che è irragionevole supporre siano rari) è proprio questo tipo di relazione che impedisce agli utenti di crearne di più sane al di fuori del mondo virtuale. In sostanza, OnlyFans è spesso il rovescio della medaglia dei guru che cercano di insegnare ai disperati delle fantomatiche tecniche infallibili di seduzione. In mancanza di studi sulla materia, la congettura più immediata e sensata è che siano proprio questi utenti il nocciolo duro del modello di business del servizio.
Anche qui, la piattaforma non prende alcuna contromisura alle esagerazioni; al contrario, guadagna da queste dipendenze. Nel materiale pubblicamente consultabile, non è prevista alcuna linea guida riguardo i limiti dello sfruttamento sentimentale e monetario, che sono lasciati completamente alla deontologia professionale di chi produce i contenuti.
Se a questo si aggiunge che le interazioni con gli utenti sono spesso delegate ad altre persone o addirittura ad agenzie, ci accorgiamo come l’aspetto morale non è tra le prime preoccupazioni della piattaforma e di chi ne usufruisce.
Tornando sulle già citate agenzie, anche queste contraddicono un altro mantra. Come in ogni piattaforma della gig economy, OnlyFans si basa sulla disintermediazione, spacciando il controllo come espediente per tagliare dei costi che sono gli stessi lavoratori della filiera a pagare. Di fatto, alle modelle amatoriali si richiede di essere anche fotografe, registe, montatrici, esperte di marketing e di comunicazione. Delegare ad altri professionisti uno o più di questi compiti contraddice il senso stesso di un servizio che si vende come amatoriale. Al di là del fatto che per avere dei guadagni non irrisori è necessario farne un lavoro a tempo pieno, l’esigenza più o meno comune dell’intervento di agenzie mostra come lo stesso modello di business del sito sia poco scalabile. Ci sarebbe da dire che questo aspetto è una problematica di tutta la gig economy.
Per rincarare la dose, come spesso accade nel mondo di Internet, il modello di competizione tra modelli creato da OnlyFans è un modello intrinsecamente winners-take-all, in cui una manciata di creatori guadagna cifre stratosferiche contro una enorme maggioranza che lecca il fondo del barile. Questo non rende OnlyFans un lavoro sostenibile per la maggior parte delle modelle, che per integrare devono mantenere un lavoro tradizionale. Ad avere la meglio sono persone già note in altri ambiti e che monetizzano la loro fama anche su OnlyFans.
Quella che doveva essere la rivoluzione del mondo del porno, che avrebbe risolto tutti i problemi legati al dover dipendere da un mondo di agenzie capricciose e poco trasparenti, non solo non ha minimamente ottenuto il risultato sperato ma ha creato nuove questioni, che la maggior parte della stampa sceglie di ignorare (a volte per il bias del sopravvissuto).
L’unica cosa che OnlyFans è riuscita a ottenere, e involontariamente, è stata rottamare un vecchio immaginario del porno (che comunque sopravvive nei siti tradizionali) per proporne uno nuovo non meno codificato e per questo non meno pressante per le modelle. Se la rivoluzione promessa si riduce a una dimensione meramente estetica possiamo definire il risultato quantomeno deludente. Certo, esiste tutta una serie di persone che costruisce la propria carriera puntando su specifiche nicchie, ma parliamo di casistiche poco rilevanti sui grandi numeri. Questo, di fatto, non è troppo diverso da quello che è accaduto con SuicideGirls, una piattaforma dal funzionamento non troppo diverso da quello di OnlyFans che si proponeva di rottamare l’immagine patinata delle sex worker in favore di una più body positive. Da questo punto di vista SuicideGirls ha fallito e, al contrario, vive della sua nicchia, campando su altre piattaforme tra cui Reddit e la stessa OnlyFans.
I successi di OnlyFans come servizio si limitano dunque alla sola sfera economica, non riuscendo a ottenere nessuno degli obiettivi “sociali” che si era prefissato. Il problema è che la narrazione si divide tra chi difende la piattaforma a spada tratta e chi si sofferma su questo o quel problema, solo per poter acchiappare qualche click da parte di chi cerca delle storie grottesche.
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