Se c’è una squadra di Serie B che sta facendo parlare di sé, quella è il Venezia FC. Le motivazioni sportive, però, non c’entrano, nonostante i lagunari abbiano iniziato a incamerare punti dopo un inizio stagione tutt’altro che convincente. La società è balzata agli onori delle cronache per alcuni litigi sui social. Colpa di una gestione della comunicazione più attenta al risultato economico che a quello sportivo, a detta dei tifosi. Poche, pochissime foto della squadra: a dominare il profilo del club supermodelle e modelli con le magliette arancioneroverde, foto scattate con filtri patinati, aperitivi in centro città, gondolieri, abbigliamento, abbigliamento e ancora abbigliamento.
Se venisse da Marte, un osservatore esterno potrebbe pensare che FC non stia per Football Club, ma per Fashion Club.
Questo approccio aesthetic ai social media, unito a una arrendevole retrocessione in Serie B ieri e a un approccio molle al campionato cadetto oggi, non ha contribuito a rasserenare gli animi tra società e tifosi. Invece di cercare un tono conciliante alle critiche dei supporter, i social media manager del club hanno preferito una strategia più, per così dire, tranchant.
Vittime della scure dei gestori social del Venezia non solo leoni da tastiera o presunti tali. Anche personaggi locali di rilievo (la consigliera comunale Cecilia Tonon, per esempio) e tifosi che avevano solo avuto l’ardire di muovere critiche in toni costruttivi. Molti di loro sono stati persino raggiunti via messaggio privato attraverso il profilo ufficiale del club e invitati a non informarsi «da giornalisti di m*rda» o insultati con epiteti poco eleganti («You are full of sh*t, just to be clear», sei pieno di str*nzate, si legge in uno degli screenshot divulgati). Un comportamento quantomeno insolito, considerato l’enorme seguito che i lagunari hanno sui social e il rilievo storico e iconico degli arancioneroverdi.
Tra i tifosi bloccati anche Emanuele Garau, che di chi gestisce la comunicazione social del Venezia è collega. Garau è infatti social media manager su Twitter di diverse realtà sportive, oltre che la mente dietro la spigliata gestione del profilo del Pescara Calcio, fatta di ironia, meme e sapiente uso dell’attualità e delle tendenze per creare engagement dentro e fuori dal calcio. Emanuele è stato interdetto dalle comunicazioni con i Lagunari il 27 novembre scorso, nel pieno dello scontro tra club e tifosi.
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«Il rapporto tra social e tifosi e tra club e tifosi attraverso i social è sempre particolare», ci spiega. «Esistono numerose criticità, difficoltà, problematiche, a prescindere dalla piazza e dal club. Il contesto veneziano è un po’ particolare, unico nel suo genere. L’approccio del club rispetto alle questioni di cui sopra non è stato dei migliori sin dall’inizio, forse perché non sono state fatte riflessioni adeguate. La proprietà arriva da un altro sistema sportivo e culturale [è americana, N.d.R.] e, non conscia della situazione, ha introdotto strategie forse poco funzionali. Va detto che il tifoso sa essere molto offensivo e pedante: misure quali blocco o cancellazione dei commenti, laddove ci sono offese e mancanze di rispetto, sono necessarie. Tuttavia, oltre a questo discorso c’è quello legato alla censura da parte del club nel momento in cui ci sono commenti, considerazioni, riflessioni che non presentano elementi offensivi, ma che magari pongono l’accento su una strategia comunicativa che non si può applicare in Italia, a maggior ragione a Venezia».
Questo contesto ha fatto sorgere divergenze tra club e tifosi, a prescindere dal risultato sportivo. «Non è il risultato sul campo negativo, in questo specifico caso, che ha condizionato il rapporto tra club e tifo o tra responsabili social e tifosi, ma il punto di vista critico del tifoso nel momento in cui questi si rende conto che ci sono determinate cose sui social che non vanno bene. Quando tali considerazioni vengono esposte, queste vengono rimosse e gli autori vengono bloccati, a prescindere dai toni usati. La spaccatura che si è venuta a creare dipende anche dai risultati, ma è soprattutto l’atteggiamento e l’approccio che tiene il club attraverso i social a indispettire, se non addirittura ad alimentare dinamiche che potrebbero e dovrebbero venir meno. Parlare con i giornali della situazione è diventato per molti l’unico modo per esprimere il dissenso, data la censura operata sui social dal club».
Chi vede il profilo del Venezia FC si rende subito conto che c’è una grande predominanza di contenuti extra calcistici. «Tra i tifosi, quella dell’importanza esagerata data all’abbigliamento è una critica ricorrente: ci sono più foto di magliette che video o foto di calciatori o degli allenamenti». Ma a chi lo ha fatto notare sono arrivate critiche dai responsabili del social, anche in privato. Molte di queste sono state poi divulgate su Twitter dai diretti interessati. «Ci sono motivazioni ben note dietro la suddetta strategia: la mission di questa gestione societaria è sempre stata quella di esportare il più possibile il marchio, quello di trasmettere un’immagine elegante, cool e fashion del club in tutti i modi possibili, a prescindere da quello che è risultato sul campo. Quando l’anno scorso si stava retrocedendo in Serie B, i gestori della comunicazione, ignorando l’umore della piazza, hanno continuato a spingere la vendita delle magliette. La società ha tutto l’interesse a ottenere ricavi e a vendere divise e merchandising vario, però ci sono modi e modi e, soprattutto, tempi e tempi. Non si può non tenere in considerazione il mood della piazza. Finché le cose vanno bene non ci si fa troppo caso, ma quando i risultati vengono meno il malumore si amplifica».
Il malcontento dei supporter e le intemperie extra campo, invero, non sono sfuggiti alla proprietà. Il 6 dicembre, il presidente Duncan Niederauer ha colto l’occasione di una conferenza stampa (organizzata per presentare il nuovo direttore sportivo e supervisore dell’area business) per presentare le sue scuse ufficiali per gli insulti arrivati a nome del club. Le teste, tuttavia, sono ancora tutte al proprio posto. Anche quella di Ted Philipakos, Chief Brand Officer del club, l’uomo che, parole sue, «ha guidato la comunicazione del Venezia FC». «A oggi non si è visto alcun cambiamento», continua Garau. «È vero che è subentrato il silenzio, a livello di interazioni, tra responsabili social e tifosi, oltre al fatto che i social media manager non hanno più attaccato nessuno in privato, nelle chat o attraverso altri strumenti. Chi era stato bloccato, però, lo è rimasto. Anche quelli che, come me, non hanno violato le community guidelines [varate dallo staff del club la scorsa estate, N.d.R.]».
Che siano necessarie linee guida, una netiquette, anche per chi gestisce profili istituzionali, oltre che per i tifosi? «Non credo serva un riferimento normativo scritto. Piuttosto, dovrebbe prevalere il buon senso o, comunque, la società dovrebbe avvalersi di persone che hanno strumenti, capacità per potersi relazionare in maniera sana con i supporter. Partendo dal fatto che ognuno di noi ha un carattere diverso, la personalità non deve mai prevalere sul ruolo. Noi social media manager dobbiamo rappresentare le aziende in termini positivi e curarne l’immagine: non possiamo incappare in errori del genere».
«I colleghi del Venezia FC sono forse più attenti a loro stessi che ad ascoltare l’opinione altrui. Perché il tifoso, è vero, si esprime spesso in termini negativi e non si sa relazionare, ma non tutti sono così. Non bisogna generalizzare e, soprattutto, bisogna sempre prestare ascolto ai desideri e le aspettative di chi ama e segue la squadra, nel momento in cui questi possono avere un fondamento. E poi, non esistono solo i sostenitori stranieri. Il Venezia FC non ha molto seguito tra città e dintorni. A maggior ragione, quei pochi non dovrebbero essere allontanati, ma presi in grande considerazione: sono anche le persone che vanno allo stadio e in trasferta per difendere i colori del club. Entrambe le componenti, società e tifosi, devono lavorare nella stessa direzione. Altrimenti, andando avanti così, il Penzo si svuoterà».