L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa. Questo statuisce, a chiare lettere, l’articolo 11 della nostra Costituzione. Tuttavia, a ben vedere, ciò a cui la Carta si oppone è la guerra intesa quale forma di strumento offensivo, la cosiddetta guerra di aggressione, consentendo, di converso, la guerra di difesa.
L’Italia, come del resto ogni Stato al mondo, è dotata di un esercito con la peculiarità, comune alla quasi totalità dei Paesi europei, che le forze armate si compongono di personale militare specializzato e non, invece, di comuni cittadini. I più giovani, oggi, non sanno cosa sia la leva obbligatoria. Essa però, si badi bene, mai abolita, era invece la norma fino a pochi anni fa, salvo l’eccezione dell’obiezione di coscienza.
Nonostante la situazione di stallo, la tematica della leva militare obbligatoria continua a fare capolino negli ambiti più disparati: dalle conversazioni al bar alle promesse politiche ai ricordi nostalgici fino, da ultimo, alla recente proposta del presidente del Senato, Ignazio La Russa, su un servizio militare “ridotto”.
Come accennato in apertura, la Costituzione italiana non condanna la guerra quando il suo scopo è quello difensivo e, anzi, lo stesso articolo 11 deve essere letto in combinato disposto con un altro articolo della Costituzione: l’articolo 52. Tale disposto prevede, in capo a tutti gli Italiani, il dovere di difendere la Patria e, in particolare, l‘obbligatorietà del servizio militare nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge.
La leva militare obbligatoria per tutti i cittadini maschi a partire dai 19 anni, nota anche con il derivativo veneto di “naja”, è stata la norma e ciò, almeno, fino al 2005, anno in cui la stessa è stata sospesa.
In un primo momento, a partire dal 1875, la durata della leva militare era stabilita in tre anni e l’obbligo si estendeva a tutti i cittadini di sesso maschile. Solo nel 1910 la durata del servizio militare è stata ridotta a due anni e poi, nel dopoguerra, la stessa è stata portata prima a 18 mesi e, poi, nel 1975, a 12 mesi. Nel 1999 è stata introdotta la possibilità per le donne di partecipare al servizio militare e, pochi anni prima, la durata dello stesso era stata ulteriormente ridotta a 10 mesi.
Nel 1999, dopo una serie di gravi casi di soprusi, fra cui la morte del parà Emanuele Scieri, il Parlamento approva un disegno di legge volto al superamento della leva militare obbligatoria entro 7 anni. Con la Legge Martino del 2004 il servizio militare obbligatorio è stato sospeso a far data dal ° gennaio 2005 con la possibilità, dunque, di ripristinarlo. Ad oggi, l’esercito è formato unicamente da personale professionista.
Non tutti, però, hanno visto di buon occhio un simile provvedimento. Il servizio militare, per i suoi sostenitori, è infatti visto come un periodo formativo, in cui si insegnano l’educazione, il rispetto per le istituzioni e la necessità di anteporre i doveri ai diritti.
Di contro, i detrattori di un simile sistema oppongono ad esso la difficile conciliazione rispetto all’organizzazione attuale del corpo militare, la proliferazione e la diffusione di episodi di bullismo e, sostanzialmente, la complessiva inutilità e perdita di tempo del servizio obbligatorio per chi, di fatto, non ha alcuna intenzione di svolgere tale professione.
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In questi ultimi giorni l’argomento del servizio di leva è tornato in auge per alcune dichiarazioni rilasciate dal presidente del Senato Ignazio La Russa. L’argomento, da sempre caro a parte della destra, è più volte entrato a far parte del programma elettorale di Lega e Fratelli d’Italia sino ad arrivare, nel corso della Giornata degli Alpini, alla nota dichiarazione del presidente del Senato. Lo stesso La Russa ha infatti dichiarato che, non lui personalmente in quanto ciò sarebbe incompatibile con la sua carica di Stato, ma una parte di senatori di Fratelli d’Italia, sarebbe stata incaricata di redigere un disegno di legge per l’introduzione di una “mini leva militare”.
Un “campo scuola” di tipo formativo in cui imparare «non solo l’amore per la patria ma il senso civico», citando lo stesso Presidente. L’incentivo ipotizzato per stimolare i ragazzi a dedicare le proprie vacanze al servizio militare, quello di un sistema di crediti, siano essi scolastici come punti alla maturità o universitari come, ad esempio, il riconoscimento di esami facoltativi o, persino, il riconoscimento di un punteggio aggiuntivo per i concorsi pubblici.
Il ritorno inaspettato, non annunciato, di un vecchio cavallo di battaglia, dunque, impreziosito da uno “sconto” sulla carriera scolastica o lavorativa.
Non solo, infatti, l’arruolamento di una serie di giovani impreparati cozza con la professionalità dell’esercito ma, altresì, il servizio di leva non può e non deve essere visto come strumento di educazione (per quello ci sono già le scuole) e, neppure, come una sorta di punizione. Per quella, nei casi più gravi, esiste già il riformatorio.
Sul dover relegare la reintroduzione della leva obbligatoria all’estemporaneità delle chiacchiere da bar siamo tutti concordi. Sulla proposta anticipata dal presidente del Senato di introdurre un servizio di leva di tipo facoltativo, occorre invece porsi alcuni quesiti.
Interrogativi non solo sulla fattibilità di un simile sistema rispetto all’esercito attuale, alla sua organizzazione e ai relativi costi ma anche, soprattutto, sui soggetti ai quali dovrebbe essere diretto.
Ribadendo, ancora una volta, che lo scopo del servizio militare non è quello di educare le future generazioni né, tantomeno, quello di punirle per una colpa non meglio definita, occorre chiedersi come e perché un mese e mezzo presso una caserma dovrebbe influire sulla carriera scolastica, universitaria o lavorativa. Non vi è nessun collegamento, nessuna capacità scolastica maggiore traducendosi, così, in un semplice un premio la cui natura, in concreto, altro non è che un incentivo.
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