E se ci risvegliassimo in un centro psichiatrico in cui siamo costretti a passare una settimana sottoposti a TSO, senza ricordare perché? Al giovane Daniele accade un mattino di un’estate afosa e rovente trascorsa fino a quel momento a fare baldoria con gli amici. Ignorando cosa sia un reparto di cura per malattie mentali, il ragazzo tasta con mano un mondo di disperazione ma anche speranza, di umanità ‘rimossa’ che cerca nuova cittadinanza nel mondo. I repellenti compagni di stanza, così, diventano nel tempo intimi. Più intimi degli amici abituali. E, con psichiatri e infermieri, lo guidano in un percorso di autorivelazione doloroso e sorprendente.
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Dopo quattro scialbi lungometraggi ‘familisti’, Francesco Bruni si dimostra a suo agio con i tempi dilatati della serialità. Scandisce per Netflix in sette puntate (uno per ogni giorno di cure) il romanzo omonimo di Daniele Mencarelli (Mondadori, Premio Strega Giovani 2020). La sceneggiatura a otto mani (del regista con lo stesso Mencarelli, Gambaro e Cenni) recupera umanità e compassione, indossando gli occhi dei ricoverati senza retorica. La malattia mentale non più come stigma, dunque, ma come occasione per uno scavo al passato. Alle radici famigliari che ogni personaggio ha rimosso per autoconservazione. Ne esce fuori una miniserie coraggiosa per analisi antropologica e coscienza dei traumi di una generazione smarrita, barricata in un ‘dentro’ che non comunica più con il fuori.
Bruni strizza l’occhio, ma con misura, al sentimentalismo da fiction generalista e si concentra sul percorso del protagonista tracciando due linee narrative sovrapponibili: alla (ri)scoperta di sé, alla rimozione delle amnesie, all’accettazione del dolore, corrisponde uno slargamento degli spazi scenici e una conquista di socialità. Dalla camerata, Daniele “approda” in corridoio, nel reparto femminile, poi in pineta e anche nel terrazzo proibito. Avanzamenti spaziali che medici e infermieri tendono a ostacolare, e che scandiscono, pertanto, il progresso della coscienza del personaggio.
Dopo Tutto quello che vuoi, il regista e sceneggiatore livornese si rimette in dialogo con la generazione Z con sobrietà registica e scrittura accorata sì, ma mai patetista. Il ritmo, tuttavia, alla lunga ristagna, i dialoghi sovente si fanno elementari, ma la scrittura arricchisce (e alleggerisce) l’ambientazione così asfittica del reparto psichiatrico, con analessi e squarci onirici, oltre che col percorso memoriale del protagonista e una liaison sentimentale assente nel libro.
Anche il casting di Chiara Natalucci è azzeccato. Scelta vincente quella di affidare il timone narrativo ed emotivo a Daniele Cenni che ammicca al ricchissimo sottobosco teen della piattaforma, con punta di diamante proprio in Skam Italia.
Ma tutti gli attori sono in stato di grazia: da Andrea Pennacchi professore uxoricida, alla fragilità rabbiosa di Fotinì Peluso, qui nevrile star di Instagram alle prese con la frammentazione dell’identità, per arrivare al commovente Madonnina (Vincenzo Nemolato) e all’efebico Gianluca (Vincenzo Crea).
Tutto chiede salvezza è un’epica dell’interiorità nella società post-pandemica (?). Bruni empatizza con la generazione futura senza giudicarla. E senza esasperare i toni ne intercetta aspirazioni e angosce, premurandosi pure di suggerire che una ricostruzione del mondo, ove ancora possibile, passa prima dalla (ri)costruzione del sé.
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