Il prossimo 12 e 13 febbraio urne aperte in Lombardia e nel Lazio per eleggere il prossimo governatore. A poco meno di un mese dal verdetto delle regionali vediamo un’opposizione molto divisa e il governo compatto. Il che suggerisce che la destra vincerà entrambe le sfide.
Di solito le regionali non hanno grande impatto sulla politica nazionale, ma i risultati di queste elezioni avranno un effetto al di là delle regioni in cui si vota. Per vari motivi. E molti di questi hanno a che fare con il Pd.
La destra si presenta unita ovunque, a differenza dell’opposizione.
In Lombardia in lizza c’è prima di tutto l’uscente Attilio Fontana, leghista, sostenuto dall’intero fronte del centrodestra. La compattezza della coalizione può, forse, aprire la strada a un secondo mandato che parrebbe scoraggiato dagli anni della pandemia e delle beghe giudiziarie.
Dall’altro lato, Unione Popolare si fa rappresentare da Mara Ghidorzi, sociologia, che mette al centro del dibattito la casa, in particolare la gestione Aler di competenza regionale, i diritti e l’ambiente. «L’unica alternativa credibile», dice, al centrodestra e al centrosinistra.
In Lombardia il Pd e il M5S hanno sancito un’alleanza – il nome è quello dell’eurodeputato Pierfrancesco Majorino. A Bruxelles dal 2019, è stato assessore alle politiche sociali del comune di Milano. Il Terzo polo ha una propria candidata, Letizia Moratti, ex sindaca di Milano, ex presidentessa Rai, ex ministra dell’Istruzione sotto il Governo Berlusconi II e III.
Nel Lazio avviene il contrario. Mentre il centrodestra propone l’ex presidente della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca, Democratici e Terzo Polo candidano insieme l’assessore alla sanità, Alessio D’Amato, e i Cinque Stelle hanno un loro nome, Donatella Bianchi, giornalista Rai ed ex presidente del WWF Italia.
Qualora l’attuale opposizione nazionale dovesse vincere ai gironi regionali capiremmo quindi quale tipo di alleanza è quella corretta per il Pd, che le sta provando entrambe. E da lì immaginare il futuro, il futuro immediato. Due settimane dopo, infatti, l’appuntamento è ai gazebo per le primarie del Partito Democratico. I due favoriti – alla corsa alla Segreteria partecipano anche Paola De Micheli e Gianni Cuperlo, ma è chiaro che la sfida somiglia già a un derby emiliano – hanno idee diverse sulle alleanze. Elly Schlein sostiene l’importanza di un’alleanza organica e strutturata con i Cinque Stelle, mentre Stefano Bonaccini sottolinea che il Pd debba riconquistarsi una certa indipendenza, ma d’altro canto politicamente e storicamente è più vicino alle istanze presentate da Italia Viva e Azione.
L’esito delle elezioni prima e la nomina del nuovo segretario poi ci daranno le coordinate per capire cosa sarà il Pd, dove andrà e con chi, e su quali basi costruirà l’opposizione di governo.
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Le elezioni regionali sono anche una buona occasione per vedere la politica da vicino. Un governatore qualsiasi è molto più vicino al cittadino rispetto a un presidente del Consiglio. Inoltre le elezioni locali hanno un impatto più diretto e visibile sulle nostre vite di quanto possano avere le elezioni nazionali. Ad esempio, i governatori hanno molto potere sulla sanità, quindi avere un presidente della regione di destra o uno di sinistra può fare la differenza sull’aborto, tema che regola da vicinissimo la vita dei cittadini. Oppure ancora: decisioni che regolano la mobilità e le infrastrutture costituiscono, per molte persone, l’unico elemento visibile della politica.
Questa prossimità, reale o percepita, permette ai presidenti di regione di portare sul tavolo una moderata dose di antipolitica e antipartitismo, come se la loro fosse una politica più genuina di quella che ha a che fare con una carica nazionale, proprio in virtù di quella possibilità di stabilire un contatto più diretto con l’elettore. Il presidente della Regione per certi versi è un outsider della politica. Non fa parte dell’establishment che occupa gli spazi della politica di vertice, non ne condivide le pratiche e i codici comunicativi, fa leva su logiche, risorse e mezzi differenti, pur avendo un grosso potere sulla vita concreta dei cittadini. Ma il fatto stesso di non appartenere alla politica “vera”, quella appannaggio dei palazzi romani, è un forte punto a favore dei futuri candidati vincenti a queste regionali. Avvicinare politica e cittadini, come se fossero sullo stesso pianerottolo, porta a porta, ripaga in benevolenza. In consenso.
D’altronde, la politica nazionale ha radici locali. Il legame della politica con i luoghi concreti in cui si prendono le decisioni ha un forte impatto emotivo che incide sulla popolarità e sul carisma del politico.
Bonaccini è stato dato per favorito dall’inizio del cammino congressuale del Pd perché, negli anni di Letta e Zingaretti, il governatore emiliano è sempre stato l’altra voce, quella concreta di chi amministra sul campo.
La costruzione del politico di polso, che prende decisioni che hanno un impatto sulla vita della persone e non si perde, invece, in tante fumosità ideologiche, dona alla figura del governatore non solo forte credibilità, ma anche caratteristiche attraenti in quanto persona con le proprie peculiarità individuali, piuttosto che come rappresentante di un partito o di un sistema di valori. Tutta la politica ormai si è personalizzata: il carisma è la chiave per il successo elettorale. Nessun grande leader riesce a emergere senza avere un radicamento profondo nel luogo da cui proviene. È successo con Giorgia Meloni a Roma, con Matteo Renzi a Firenze, con Silvio Berlusconi a Milano. E siccome ciascuno di questi nomi è stato, almeno una volta, preceduto da “il Presidente del Consiglio”, potremmo vedere i risultati delle prossime elezioni regionali anche al di là della Lombardia e dal Lazio.
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