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Ma ‘sto ADHD, alla fine, che cos’è? – parte 2

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Anna Chiara Borrello

Nella prima parte dell’intervista con Valentina abbiamo parlato delle difficoltà che ha incontrato per avere una diagnosi da adulta, delle sue esperienze scolastiche e lavorative e di cosa vuole dire avere l’ADHD. In questa seconda parte, affrontiamo un altro tipo di difficoltà che ha incontrato e lo stigma che si porta dietro: i farmaci.

Leggi anche: Ma ‘sto ADHD, alla fine, che cos’è? – parte 1 e parte 3.

L’argomento farmaci apre molte questioni, la prima delle quali è l’accesso. La legislazione italiana categorizza i farmaci per il trattamento dell’ADHD nelle Tabelle delle sostanze stupefacenti e psicotrope, Sezione A. Essi sono soggetti a prescrizione solo con la ricetta a ricalco in triplice copia e sono strettamente regolamentati. Si basano su due principi attivi: il metilfenidato e l’atomoxetina. In Italia non è possibile prescrivere farmaci a base di amfetamina, come il famoso Adderall. Mentre l’altrettanto famoso Ritalin, principio attivo metilfenidato, è tra i farmaci prescrivibili.

Le complicazioni arrivano quando viene fatta una diagnosi dopo i diciotto anni. Questo significa che, se per caso nell’ASL di competenza dove la persona vive non esiste un reparto dedicato per la diagnosi e il trattamento dell’ADHD (cioè come nella maggioranza delle città italiane), diventa molto difficile riuscire ad avere non solo la diagnosi, ma anche i medicinali. E questo significa anche che si deve andare da uno psichiatra privato a pagamento; inoltre, i farmaci non sono rimborsabili.

Ricapitolando: diagnosi prima dei diciotto anni, farmaci gratuiti; diagnosi dopo i diciotto anni, farmaci a pagamento. Aggiungiamo che, se anche si riuscisse ad avere una diagnosi in un Centro di Salute Mentale o un Centro d’Igiene Mentale, si potrebbe avere difficoltà ad avere il farmaco più adatto. Questo perché i farmaci a base di metilfenidato, in Italia, sono indicati solo per il trattamento dei bambini.

A tutto questo si aggiunge, infine, la percezione che ha l’opinione pubblica di questi farmaci, accompagnata a quella sull’ADHD. Essi sono considerati pericolosi, stupefacenti, droghe nel vero senso della parola. Dall’altra parte, l’ADHD è considerato una moda o una scusa, un’esagerazione di sintomi che sono comuni a tutte le persone “normali”.

Leggiamo, allora, nelle sue parole, l’esperienza di Valentina al riguardo. E ricordiamo l’appuntamento della prossima settimana con l’intervista alla dottoressa Valentina Piras.

PARLIAMO DEI FARMACI. PRIMA HAI ACCENNATO UN PO’ ALLA QUESTIONE, È UN PROBLEMA AVERE ACCESSO AI FARMACI?

«Non essendoci un centro ADHD in Liguria, non possono fare un piano terapeutico e quindi niente farmaci. Tra l’altro, per il piano terapeutico, prima devi per forza provare lo Strattera, che è l’unico farmaco per gli adulti, e poi il Ritalin. In Piemonte, dove ho fatto i test, essendo fuori regione, mi hanno detto che i farmaci non potevano darmeli. Vabbè, tralasciamo che è meglio. Il Ritalin può essere prescritto off-label dal medico di base, su indicazione dello psichiatra, però spesso non si prendono la responsabilità, come è capitato a me. Alla fine, ho trovato uno psichiatra privato accreditato che mi fa la ricetta in triplice copia.

La prima volta che sono andata a ordinarlo, a ottobre 2021, ho litigato con tutte le farmacie della città, perché ognuna trovava un problema per il quale non poteva darmi il farmaco. Prima non avevano le forniture. Poi le forniture c’erano, ma la ricetta non andava bene, perché volevano anche la seconda copia. Invece, essendo off-label a pagamento, bastava una copia sola. Poi, dopo, pareva che dall’ASL avessero detto alla farmacia che non potessero darmelo. Allora, lo psichiatra ha chiamato l’Agenzia Regionale del farmaco e loro hanno detto di sì, che potevano darmelo. Poi, però, non si riusciva a trovare la farmacista che si mettesse in contatto con l’Agenzia Regionale, perché lavorava in smart-working.

Anche la referente dell’AIFA (Associazione Italiana Famiglie ADHD) è venuta ad aiutarmi e a un certo punto si è piantata davanti alla farmacia. Pensa che era una farmacia dove andava sempre e che non le aveva mai fatto problemi. Poi, la farmacista ha detto alla referente che solo le farmacie comunali potevano darlo. Poi, un’altra farmacia ha preso in carico la ricetta, ma il giorno dopo mi hanno detto che non avevano disponibilità, neanche alla casa madre. Alla fine, mio marito ha chiamato un suo collega, la moglie ha tre farmacie e mi ha fatto arrivare tre scatole dall’oggi al domani.

Foto: logo A.I.F.A. APS.

È stata una lotta. In pratica, queste farmacie non volevano avere il fastidio. Non volevano darmelo, non è che non potessero.Non volevano darmelo perché, a quanto pare, mi è stato detto che le farmacie che danno questo farmaco sono sottoposte a più controlli dai NAS e quindi… Alla fine, ci ho messo un mese ed è stato allucinante. Ho perso un mese alla ricerca del farmaco. Sono arrivata al limite della scadenza della ricetta».

DURANTE QUESTO MESE, COME TI SEI SENTITA?

«Mi hanno messa a disagio, mi hanno fatto sentire una tossica, mi sono sentita proprio umiliata. Oltre che da loro, anche per l’impossibilità di curarsi, di poter avere un aiuto».

ED È A PAGAMENTO?

«Sì, non passano niente».

QUESTO DA COSA DIPENDE?

«Prima dei diciotto anni, se ti fanno la diagnosi, ti danno il Ritalin o comunque il metilfenidato a rilascio modificato, hai il piano terapeutico, insomma tutto come se il disturbo esistesse, no? E non paghi. Se la diagnosi ce l’hai dopo i diciotto, niente, paghi tutto di tasca tua. E costano tanto, perché la dose va in base al peso e quindi a un adulto ne serve di più che a un bambino. Ad esempio, il Medikinet costa sui 50 o anche 60 euro a scatola e dura un mese. Aggiungi lo psichiatra privato che ti segue e ti fa la ricetta, sono tanti soldi».

QUANDO FINALMENTE HAI POTUTO AVERE ACCESSO AL FARMACO, TI HA AIUTATO?

«All’inizio con un dosaggio basso non sentivo nulla. Prendevo anche il bupropione (Wellbutrin), che è il farmaco di terza scelta in Italia per l’ADHD negli adulti, e quello mi aiutava. Ho mollato il Ritalin per un po’, poi da qualche mese l’ho ripreso a un dosaggio più adeguato e qualche effetto inizio ad averlo. Non è un miracolo. Il problema è che in Italia abbiamo solo lo Strattera e il metilfenidato. Dopodiché ci sono farmaci come il Wellbutrin, che non è proprio adatto.

Dobbiamo rinunciare ad avere delle cure, perché esistono farmaci migliori, però chissà perché non ci sono in Italia. Alla fine, il Ritalin è una cosa un po’ obsoleta, c’è dagli anni Cinquanta. E anche quello è una fatica averlo».

IL FARMACO IN COSA TI AIUTA?

«Mi aiuta nella concentrazione, in teoria dovrebbe anche aiutarmi a non parlare sopra alle persone! Stamattina ho discusso con la mia capa perché parlo sopra di lei. Insomma, mi aiuta a essere più centrata. Non fa miracoli, il farmaco da solo, però aiuta. Un pochino aiuta».

UNA DELLE COSE POCO CONOSCIUTE DELL’ADHD È QUELLO CHE VIENE CHIAMATO RSD (REJECTION SENSITIVE DYSPHORIA). CHE COS’È?

«Quello è un grande problema. Si può dire che è una conseguenza di una vita come ADHD. Soffrire in maniera considerevole per ogni critica, per quelle che vengono percepite come critiche. Non è permalosità. È una cosa diversa. Magari vieni ripresa dal capo, ma neanche ripresa, ti dice una cosa, e anche solo quello influisce sui due o tre giorni successivi.

Lo somatizzo nello stomaco, giorni e giorni di mal di pancia. Io con la ragione capisco che non era niente, ma quello che sento è un’altra cosa. Sprofondo proprio nell’imbarazzo, nel non volermi fare più vedere. Vedo grigio, la vivo proprio male».

IN QUESTO IL FARMACO TI AIUTA?

«Per quanto mi riguarda, no. A qualcuno il Ritalin fa un effetto maggiore, anche sull’umore, a me no. Alla maggior parte delle persone cambia la vita. A me ha aiutato più il bupropione a fermare i pensieri. Perché c’è anche questo, sai perché hai l’RSD? Perché la testa va veloce, una parola nel giro di cinque secondi ha già assunto ottomila significati. Andiamo a mille all’ora».

COSA VORRESTI CHE CAMBIASSE, COSA TI AUGURI?

«Ancora prima dei farmaci, che sono importanti, vorrei che venisse preso sul serio, che non si dicesse: “Siamo tutti un po’ ADHD”. Si sente spesso anche nell’autismo, no? O la cosa dell’iperattività, “sono iperattivo”. No, non lo sei. Sei una persona dinamica. Se pensi di essere iperattivo, vai a fare i test, vai a farti il DIVA (Diagnostic Interview for Adult ADHD) e vediamo. E anzi, siamo tanti così! Tanti inconsapevoli. Tanti che non accettano la diagnosi.

E poi, nel mio mondo ideale, vorrei che le persone potessero avere la possibilità di funzionare a loro modo. L’ADHD è una neurodiversità. Non avere l’ansia di andare al lavoro e di non riuscire a seguire gli ordini, poter vivere serena, senza la paura di essere additata… “Vogliono drogare i bambini”, oppure “vogliamo solo la droga”. Per quello che funziona a me, poi…».

CREDI CHE L’ADHD NON VENGA PRESO ABBASTANZA SUL SERIO?

«No, perché o riguarda solo i bambini oppure è una scusa. “Non puoi utilizzare sempre la scusa che sei ADHD”. Non è una scusa, non posso fare diversamente, funzioniamo in maniera diversa.

Oppure dicono che i farmaci creino dipendenza, ma è come dire a un miope che è dipendente dagli occhiali. Poi, c’è chi non vuole prenderli e ci sta, ognuno decide per sé, ma è un altro discorso. Però non deve esserci questa cosa di vedere le medicine in modo sbagliato. Se un farmaco serve, serve. È già difficile vivere in un mondo neurotipico, dateci almeno una stampella.

Il problema è che l’ADHD non si vede. E le persone peggiori sono gli “ADHD che ce l’hanno fatta”. Perché sono persone che, per fortuna loro, si sono trovate nel posto giusto, magari hanno un grande talento, ci sono tanti artisti ADHD, e ce l’hanno fatta. Magari fanno il lavoro dei loro sogni, e quindi dicono: “Se vuoi, puoi! L’ADHD è un superpotere”. Per la tua vita, meno male per te che puoi viverlo così. È una fortuna, però.

Per chi nasce in una famiglia di operai, come me, che non hanno testa di seguirti per la scuola, per spingerti a studiare, non ce la fai. Ti mandano a lavorare e il primo lavoro dove ti prendono, di solito, è di fatica… e la tua strada ormai è quella».

Fine seconda parte

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Anna Chiara Borrello

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