Nei giorni scorsi è scoppiato un putiferio in merito a un’icona della Sacra Famiglia esposta all’interno dell’ospedale civile di Venezia. Il che è strano: dalle aule scolastiche agli uffici pubblici, crocifissi e simboli cristiani sono in bella mostra un po’ ovunque negli edifici statali italiani.
Eppure il polverone si è sollevato. Da una parte il centro sinistra, i sindacati e alcuni esponenti liberali, anche di centro destra. Dall’altra il nutrito gruppo di giornali, intellettuali e politici del mondo cattolico.
Analizziamo la vicenda.
Il fatto
L’icona in questione rappresenta la Sacra Famiglia ed è esposta in questi giorni nel reparto di ginecologia. Una collocazione ideale, verrebbe da pensare.
Non proprio.
Il problema è duplice. Da una parte il sempreverde tema dell’uso dei simboli religiosi negli edifici di proprietà statale. Dall’altra la valutazione su quanto sia opportuna quella determinata immagine in quel determinato luogo.
L’insensibilità delle istituzioni
La Sacra Famiglia rappresenta l’ideale famigliare nel senso più conservatore del termine: maschio e femmina, credenti, monoetnici, sposati, che procreano con successo. Che poi il figlio fosse stato concepito fuori dal matrimonio da un altro “padre” poco importa, si tratta del prototipo della Famiglia Tradizionale™.
In un reparto di ginecologia però troviamo molti tipi di famiglie: non eterosessuali, mamme single, persone di etnie e culture diverse e così via. Una constatazione woke, diranno alcuni, ma possiamo già affermare che quell’immagine è la rappresentazione di una famiglia poco inclusiva. Piaccia o no, questo è fattuale.
Facciamo un passo in più.
In un reparto di ginecologia si recano anche persone alla ricerca di un’interruzione di gravidanza, o chi un figlio vorrebbe averlo e cerca aiuto perché non ci riesce.
A questo punto la faccenda si fa molto più delicata.
Sbattere in faccia la famiglia con prole a chi sta facendo un percorso che può essere devastante è una bassezza notevole al di là dell’aspetto religioso, che è un discorso a parte. Sono avvenimenti in genere impattanti sulla psiche delle persone, che potrebbero essere lì in seguito a una violenza o per una diagnosi di infertilità.
Casi distanti dalla sensibilità della maggior parte delle persone, che di rado hanno bisogno di trattamenti medici di questo tipo.
Due pesi e due misure
Quante volte ci siamo sentiti dire, da parte di persone con figli: «Lo capirai solo quando avrai figli tuoi»?
Di converso, quante volte ci siamo sentiti dire: «Lo capirai quando rimarrai incinta dopo essere stata violentata» o: «Lo capirai quando ti devasterai il fisico di iniezioni illudendoti di poter avere un figlio che non avrai»?
È più facile empatizzare con situazioni che ci sono familiari. Eppure troveremmo ben poco opportuna l’immagine di un bambino sorridente con scritto “la felicità è un figlio sano”, in un reparto di oncologia pediatrica.
Se ci pensiamo bene, a livello di incoerenza tra immagine e luogo in cui è esposta, la differenza è ben poca: la famigliola felice sbattuta in faccia a chi non può o non vuole averla, una famiglia.
Quell’icona, lì collocata, è di un’insensibilità rara. Che a spingere questa cosa sia lo Stato è ancor più grave: tutti abbiamo il diritto a non sentirci giudicati dalle istituzioni – anche per via indiretta – per il semplice fatto di esercitare un proprio diritto.
Tuttavia, le istituzioni sono composte da esseri umani e l’errore può capitare, ma una volta che il problema è stato sollevato basta, non ci sono più scuse. Un’istituzione sana l’avrebbe rimossa con tempestività: non solo perché un simbolo religioso è fuori luogo in un edificio pubblico, ma perché è di per sé un’immagine che può essere dolorosa per alcuni utenti.
Nel momento in cui questo articolo viene scritto l’icona è ancora al suo posto, da giorni: la mancanza di empatia è una malattia alquanto diffusa.
L’Italia è davvero un Paese laico?
Veniamo al secondo aspetto: l’Italia è un Paese laico e aconfessionale, giusto?
Ognuno è libero di professare la religione in cui crede, o non credere affatto; non esiste una religione di Stato; lo Stato non dà priorità o privilegi a un credo in particolare; l’Italia non subisce ingerenze a livello politico da parte di alcuna religione; lo Stato non ha accordi che assegnano determinati privilegi a una religione e non alle altre; lo Stato non finanzia le istituzioni religiose con denaro pubblico.
Leggi anche: L’ora di religione, una storia.
La religione è un fatto privato e lo Stato se ne mantiene ben separato, ed è equidistante da tutti i credi. Dal punto di vista della forma l’Italia è così laica che la Corte Costituzionale l’ha definito un principio “supremo”.
Leggi anche: Perché non si può abolire il Concordato Stato-Chiesa.
Una cosa è la teoria, un’altra la pratica
Non serve essere razionalisti per constatare che quanto scritto qui sopra è, all’atto pratico, una fregnaccia.
La legislazione italiana non fa davvero chiarezza sulla laicità dello Stato. È piuttosto una foglia di fico che nasconde una realtà nella pratica ben diversa dalle intenzioni. Di esempi nei quali la politica ha assecondato le istanze della Chiesa ce ne sono a bizzeffe.
Rimanendo in tema, pensiamo all’obiezione di coscienza. Si applica per definizione a un dovere imposto dall’ordinamento giuridico. Pensiamo alla naja: lo Stato imponeva il servizio militare obbligatorio, ma si poteva esercitare l’obiezione di coscienza.
Tuttavia nessuno è obbligato a fare il ginecologo. Senza fare i talebani, è ragionevole garantirla a chi era già in ruolo nel momento dell’entrata in vigore della legge. Si tratta di persone che hanno dedicato vita e risorse per specializzarsi in un contesto dove l’aborto non faceva parte di quel lavoro. Tuttavia, mantenere l’obiezione di coscienza in vigore anche dopo è una presa in giro.
Chi non vuole svolgere il suo lavoro al cento per cento può fare altro e lasciare il posto in specializzazione a chi non lavora col freno a mano tirato a scapito dei diritti delle donne, scaricando quelle mansioni sui colleghi non obiettori. Questo è talmente vero da mettere in crisi il diritto di portare a termine un’interruzione di gravidanza in alcune regioni del Paese (per la felicità della Chiesa).
E come dimenticare la campagna referendaria del 2005 sulla procreazione assistita? Dopo che i politici cattolici avevano partorito la legge 40, ovvero la più illiberale dell’Occidente sul tema, la Chiesa spinse per il non voto ai referendum abrogativi, per non raggiungere il quorum. Opzione legittima ma per principio antidemocratica, dove la percentuale fisiologica di astensionismo nella pratica vale come voto contrario.
Che la legge 40 fosse liberticida è un dato di fatto, tanto che la Corte Costituzionale con una serie di sentenze la mutilò delle sue numerose parti incostituzionali.
Quella campagna referendaria fu una delle ingerenze più evidenti dell’ultimo ventennio, insieme al tentativo di affossare le unioni civili (fallito) e il DDL Zan (riuscito), ma non sono altro che la punta dell’iceberg di un rapporto tossico tra Stato italiano e Chiesa cattolica.
Leggi anche: Ddl Zan: il triste ritorno sulla scena della politica italiana.
I simboli sacri negli edifici pubblici
Come appurato, la laicità dello Stato è un tema controverso, tanto che il Consiglio di Stato si è espresso in maniera ben poco laica autorizzando il crocifisso nelle aule italiane.
Lo Stato, infatti, consente l’esposizione di simboli religiosi nei propri edifici. Al di là della teoria, nel concreto questo privilegio viene però concesso a una religione specifica, il cristianesimo cattolico.
Qui l’obiezione è molto semplice: o tutti, o nessuno. Ma non nella teoria, anche nella pratica. Dare visibilità sempre (o quasi sempre, diamo il beneficio del dubbio) a una sola religione e chiamarsi al contempo laici è una presa per i fondelli, come vedremo tra poco.
Tuttavia, non si tratta solo di simboli. Come abbiamo visto, l’ingerenza riguarda anche le posizioni della Chiesa su molti temi, sostenuti sia a livello politico (lo schieramento dei parlamentari cattolici è ampissimo, bipartisan, ben coordinato e molto influente), sia a livello delle amministrazioni pubbliche, come gli ospedali.
Nessuno tocchi la Sacra Famiglia
La reazione del mondo cattolico alla vicenda dell’icona sacra è stata massiccia e unanime nel cercare di smontare la vicenda.
Editoriali sono apparsi su Famiglia Cristiana, Avvenire, Il Gazzettino, Il Giornale e in altre testate conservatrici. Giornalisti, intellettuali e commentatori cattolici non hanno mancato di inondare i social con post sull’argomento.
In tutta questa grande quantità di testo le obiezioni sollevate sono state quasi sempre le medesime, comprese le fallacie logiche connesse.
Vediamole.
Le obiezioni dei cattolici
Disclaimer: per neutralizzare il cherry picking, chi preferisce la versione integrale delle citazioni riportate di seguito può cliccare i link presenti nel precedente paragrafo.
«Pazienti e familiari per lo più non ci avevano fatto caso».
Questa è un’obiezione ricorrente, e falsa: se è nata la polemica è perché più di qualcuno, quell’icona, l’ha notata e si è lamentato da qualche parte. Non può essere altrimenti.
Inoltre, non è che un evento non accade solo perché non viene comunicato a chi di dovere. Pensiamo a quanti crimini (piccoli furti, truffe, micro aggressioni) non vengono denunciati alle forze dell’ordine. Significa che non sono mai accaduti? No, significa che il cittadino ha ritenuto controproducente farlo: per vergogna, a volte, o più sovente perché ritiene che chi di dovere sminuirà l’evento senza fare niente. Ovvero ciò che è successo, e che gli editoriali presi in esame rinforzano.
«Le radici dell’Italia sono cristiane, la nostra nazione e civiltà è fondata sui valori del cristianesimo e non dobbiamo nascondere, cancellare o vergognarci dei simboli cristiani ma andarne fieri».
Sì, una religione ha dei valori e questi valori possono essere condivisi da una o più culture, ma sono due cose diverse. Riferirsi alla religione in maniera ambigua quale sinonimo di cultura è un’anfibologia, una fallacia logica. Non sono la stessa cosa.
Nessuno, salvo qualche fanatico, chiede di nascondere i simboli cristiani tout court. La libertà di religione è sacrosanta in un Paese laico, in quanto fatto privato di ogni cittadino. Imporre i propri simboli religiosi a tutti tramite lo Stato, anche ai non cristiani, è però un sopruso, tanto quanto imporre ai cristiani simboli di altre religioni. A ognuno il suo.
Che la Chiesa sia stato un attore importante nella storia del nostro Paese è lapalissiano, ma è uno dei tanti. Le nostre radici sono nella cultura greco-romana (pagana, anche, e ben più antica del cristianesimo), nel sincretismo linguistico-culturale con le popolazioni germaniche, nell’illuminismo, nel pensiero laico di chi ha fatto l’Italia con le proprie mani, come Cavour e Garibaldi. La lista è bella lunga: non esiste una sola radice, come lascia intendere l’autore in maniera così perentoria.
«Chi ha paura di un simbolo di amore come la Sacra Famiglia può essere solo animato da un furore ideologico che lo acceca nel giudizio, se poi ci spinge al punto di associare l’immagine della Natività a un messaggio “contro i diritti delle donne“, significa essere animati da cattiva fede».
Qui la cattiva fede è di chi è terrorizzato dal vedere la propria religione arretrare dai suoi privilegi. Le motivazioni razionali per ritenere quell’immagine non consona al luogo dov’è stata esposta vanno ben oltre il mero simbolismo religioso, come chiarito in precedenza. Tuttavia sarebbe curioso sapere se l’autore avrebbe “paura” nel vedere esposto un altro simbolo religioso, come ad esempio il prodigioso spaghetto volante pastafariano. O un pentacolo rovesciato: scommettiamo che quello non gli andrebbe bene?
«L’immagine in questione è tutto fuorché divisiva e anzi il suo significato, umano e religioso, richiama all’amore, alla cura e all’accoglienza reciproca, ossia a quei valori universali, e così preziosi, che dovrebbero accomunare tutti, specialmente in un luogo particolare quale è l’ospedale. L’immagine stessa, quindi, non possiede alcuna valenza di contrapposizione o di battaglia “ideologica”, né può essere o va utilizzata per riferimenti altri o polemiche strumentali sull’aborto, sul rispetto delle donne».
Questa è una delle obiezioni più gettonate, presente anche nella precedente citazione e in molti degli articoli riportati. Chi la propone ignora – in buona o cattiva fede – che i simboli di una religione veicolano i contenuti di quella stessa religione. Lo dimostra l’autore stesso associando a esso determinati valori cristiani (selezionandoli per cherry picking, però). È molto semplice: qual è la posizione della Chiesa sull’aborto e sulla parificazione tra maschio e femmina, anche all’interno della Chiesa stessa? A sfavore dei diritti delle donne. Non è una polemica strumentale ma una posizione ufficiale, che fa quindi parte del messaggio veicolato da quell’icona.
Se la Chiesa non vuole che i propri simboli siano associati a posizioni contro le donne, che cambi le proprie posizioni.
«Si allarmano per una Madonna col Bambino e Giuseppe, come ne sono costellate da millenni le chiese e le strade e gli edifici pubblici d’Italia, in città e in campagna».
Si praticano interruzioni di gravidanza e procreazione assistita anche nelle chiese, nelle strade e negli edifici pubblici d’Italia? No, quindi non c’è alcuna correlazione.
«In Italia quella immagine è ancora alfabeto infantile e familiare, memoria e appartenenza, pure per chi poi si allontana dalla fede, cosa che ciascuno, grazie a Dio, in questo Paese è libero di fare».
Se in questo Paese le persone sono libere di allontanarsi dalla fede non è grazie a Dio, bensì grazie a chi ha combattuto per ottenere questa libertà in opposizione alla Chiesa.
Poi, il fatto che in moltissime aree d’Italia chi ha un figlio e non lo può portare alla scuola materna pubblica del comune di residenza sia costretto dalla mancanza di alternative a consegnarlo nelle mani di una paritaria cattolica, non è una cosa di cui andar fieri. È il frutto delle elargizioni di denaro dei contribuenti (anche di quelli non cattolici) sottratto alle scuole pubbliche per finanziarle.
Un privilegio, e chiamarlo “alfabeto infantile” sarà poetico ma non ne cambia la sostanza. Il fatto che questo “alfabeto infantile” influenzi anche chi poi si allontana dalla fede, sebbene si tratti dell’opinione indimostrabile dell’autore, depone ancora più a suo sfavore, ammettendo in maniera indiretta la catechesi coatta cui sono sottoposti molti di questi bambini.
«Una Sacra Famiglia in ospedale – e se poi mettesse in crisi una donna che va lì ad abortire? – si domandano. Dove il più sacro dei diritti è, evidentemente, l’aborto, e il mettere al mondo figli invece un’eventualità secondaria».
Nessuno ha mai detto una cosa del genere, tranne l’autore di questa obiezione. È un caso di petitio principii, una fallacia logica nella quale l’affermazione che si vuole dimostrare è data per scontata durante il ragionamento. In termini più contemporanei, man invents fictional scenario and gets angry about it.
«”Uno schiaffo alla laicità dello Stato“, tuona la senatrice 5 Stelle, per quel quadro con un uomo e una donna e un bambino all’ingresso di un ospedale. Beh, di schiaffi lo Stato, laico e no, ne prende molti: per dirne uno – lungo trent’anni e finito appena ieri – la latitanza di Messina Denaro, che viveva tranquillo e ben curato nel suo proprio territorio, in Sicilia.
Uno schiaffo lo Stato lo prende anche a ogni consultazione elettorale, quando risulta che ormai la metà dei votanti dice grazie no, non me ne importa, resto a casa. Quel 50 per cento, deluso e reso cinico, non sopporta più lo scollamento della politica dalla vita, vera, della polis. Mentre la sanità rischia di collassare per mancanza di programmazione e personale e risorse, e l’Italia è un Paese ormai di vecchi, e le aziende faticano a trovare la manovalanza necessaria, frullano da certa politica ancora parole al vento, polemiche fatte d’aria – come questa a Venezia, città della celeberrima e amatissima Santa Maria della Salute. Semplicemente, tanto stonato rumore per nulla».
Benaltrismo, di bassa lega.
«È un tema pittorico tra i più popolari e interpretati nei secoli dall’arte italiana; un soggetto tra i più antichi dell’iconografia cristiana, europea, mondiale; la Madonna col bambino sta raffigurata ovunque, dai crocicchi delle strade alle cattedrali, sta nei nomi degli istituti e delle case d’accoglienza, delle navi e dei licei, è un archetipo universale, che travalica da tempo, ormai, la sola cristianità».
Anche qui si gioca sull’ambiguità: una “donna con bambino” non è “la Madonna con Gesù bambino”. Il primo è un tema universale, il secondo no. Il fatto che sia un tema pittorico popolare non ne giustifica l’esposizione ovunque, è una fallacia ad populum.
Quanto alla sua onnipresenza, non è altro che il retaggio di un passato in cui la religione era molto più sentita, perché imposta. Nel momento in cui non lo è più stata la cosa è scemata in tempi brevi, tanto che oggi ben pochi si preoccupano della manutenzione di questi reperti.
«In tempi non sospetti abbiamo scritto, da queste stesse colonne, che eravamo contrari al “crocifisso obbligatorio” per tutti gli edifici pubblici e le scuole, proposto dall’allora sindaco leghista di Padova. “Come se le sorti e la difesa dei valori cristiani, della tradizione, dell’identità culturale occidentale e chi più ne ha più ne metta, fossero davvero affidate alla solidità del chiodo cui è appeso quel simbolo in legno dentro un’aula scolastica o di tribunale”, scrivevamo, convinti allora, come ora, che la scristianizzazione e la secolarizzazione avanzino perché le comunità cristiane hanno staccato la croce, non dai muri, ma dalle loro vite, dai loro volti e per questo sono diventate trasparenti, insignificanti. Allo stesso modo, laicamente, oggi diciamo che quell’icona non vuol fare proseliti, né guerre d’ideologia. Sono altri forse a farle».
Se, come sostiene l’autore, l’esposizione di simboli sacri negli edifici statali non dovrebbe essere obbligatoria, perché ha scritto un intero editoriale polemizzando contro chi ne chiede la rimozione? È un ragionamento che nega sé stesso: o li vuole o non li vuole, si decida. Con tutte le conseguenze del caso.
«Tutto ciò è possibile che sia racchiuso in quella tavola di legno dipinta e per alcuni, come dire, “maldisposta”?».
Il fatto che sia solo un pezzo di legno ad aver generato le polemiche è una delle obiezioni preferite dei commentatori da social. Ma se così fosse, perché se la prendono tanto?
Che la tolgano: tanto è solo un pezzo di legno, no?