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Il febbraio dei congressi, prima parte: +Europa

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Giacomo Stiffan

Dopo l’accesa campagna elettorale dello scorso anno e trascorsi i primi cento giorni del governo Meloni, ci aspetta un febbraio dedicato ad altri due appuntamenti elettorali, i congressi di +Europa e del Partito Democratico.

Si tratta di due partiti dall’intensa democrazia interna, faccia a faccia, fatta di attivisti sul territorio. Di persone reali, più che di identità virtuali.

Sono due forze politiche che si contraddistinguono per una caratteristica: non essere leaderistiche. Hanno una base attenta, molto critica e una struttura in grado di cambiare guida senza battere ciglio, caratteristica ormai rarissima nel panorama italiano: quanti partiti possono permettersi di non essere riassumibili in “il partito di [inserire nome del leader]”? Ben pochi, e ancora meno sono quelli presenti in Parlamento.

Cos’è un congresso?

Semplificando in maniera estrema, durante il congresso di partito si svolgono le elezioni interne per rinnovare le cariche. A scadenza prefissata (la durata è definita dalle regole di ogni partito) la base, ovvero gli iscritti e talvolta anche i semplici simpatizzanti, intraprendono questo percorso, che può essere anche molto lungo.

Il congresso può avvenire a vari livelli, come ad esempio quello provinciale o regionale, ma il più importante è quello nazionale, nel quale si sceglie il nuovo segretario e si rinnovano gli organi di democrazia interna.

Per la maggior parte dei partiti questo è un passaggio squisitamente formale, dato che il partito è nel pieno controllo del leader e del suo gruppo dirigente.

Non è questo il caso dei partiti in questione che, se messi a confronto con la media degli altri partiti, si contraddistinguono per l’importanza dei propri congressi, niente affatto scontati.

+Europa

In questa prima parte ci dedichiamo a +Europa. Per comprendere come si svolge il suo congresso e quali siano le questioni principali sul tavolo, theWise Magazine ha intervistato Davide Sguazzardo, componente dell’assemblea nazionale del partito e attento osservatore delle dinamiche interne.

Davide Sguazzardo.

Il sistema congressuale di +Europa è simile all’elezione del presidente del consiglio, nel quale i cittadini eleggono il Parlamento che a sua volta Dà la fiducia al presidente?

«Non è la stessa cosa, perché da noi gli iscritti non eleggono l’assemblea (paragonabile al Parlamento), bensì i delegati che andranno a eleggere tutti gli organi del partito: assemblea, direzione, segretario, tesoriere e presidente del partito».

Quali sono le fasi del congresso? Chi può votare?

«L’assemblea ha approvato il regolamento a fine novembre, indicando le date del congresso dei delegati il 24, 25 e 26 febbraio; delegati che a loro volta vengono eletti online dagli iscritti nel 2022 e nel 2021 (previo accreditamento con documento d’identità dal 3 al 9 febbraio) il 12 e 13 febbraio, candidati in liste bloccate presentate entro il 23 gennaio dai capolista.
I delegati andranno poi a eleggere a termine del congresso in presenza, tranne casi eccezionali, sia i cento membri d’assemblea su liste bloccate, che in modo disgiunto il segretario, il tesoriere e il presidente di +Europa.
Le candidature per le liste d’assemblea e delle cariche monocratiche si aprono dal 14 febbraio fino alle ore 20 del 24 febbraio.
Un’ultima informazione: ogni iscritto può inviare le proprie proposte di modifica statutaria fino al 15 febbraio e, se raccolgono duecento sottoscrizioni entro il 24 febbraio, saranno votate dai delegati».

Chi sono i candidati?

«Oggi abbiamo sette liste di candidati per i delegati, che stanno raccogliendo le sottoscrizioni per potersi presentare alle elezioni con voto degli iscritti il 12 e 13 febbraio .
Sono:

  • Scossa Liberale, con capolista Giulio Del Balzo;
  • iMAGIna +Europa, con capolista Riccardo Magi;
  • Next Generation+Eu, con capolista Benedetto Della Vedova;
  • Energie Nuove con Pizzarotti, con capolista Piercamillo Falasca;
  • I non allineati, con capolista Luca Monti;
  • Europa in Comune, con capolista Valerio Ferderico;
  • Territori Diritti e Libertà, con capolista Stefano Pedica».

Il congresso è un momento dove l’iscritto dovrebbe sentirsi al centro dell’attenzione. Hai la sensazione che la base si senta Coinvolta, o vedi meno entusiasmo rispetto ai precedenti appuntamenti?

«La base viene coinvolta per completare le iscrizioni entro fine anno, poi non è abbastanza coinvolta nello scegliere la lista per l’elezione dei delegati. Questo perché chi si candida non ha modo di contattare gli iscritti e deve attendere iniziative del partito che non bastano per confronti completi tra le liste, che siano utili a raggiungere tutti gli iscritti.

Abbiamo migliorato il coinvolgimento della base rispetto al precedente congresso per delegati, perché oggi i tempi del pre-congresso sono di tre settimane. Ma se non ci sono gruppi territoriali che si attivano per fare dei confronti, il tempo passa e solo l’iscritto che segue via mail può leggersi i documenti di presentazione delle liste per farsi un’idea.

Manca il confronto con gli iscritti fatto sul territorio, specialmente dove da novembre 2022 a dicembre gli iscritti sono passati da 200 a 900.
Ricordo che da 2000 iscritti nazionali siamo passati in due mesi a 4500 iscritti, e questo richiede strumenti di apertura alle liste del data base del partito, al fine di presentarsi a tutti gli iscritti con le iniziative che più si ritengono opportune».

+Europa tiene un congresso ogni due anni, un esempio di dedizione alla democrazia interna notevole. Non c’è il rischio di trovarsi in una sorta di campagna elettorale interna perenne, finendo per concentrarsi su obiettivi di breve periodo piuttosto che di ampio respiro, meno spendibili in fase congressuale?

«Due anni sono il tempo che passa tra europee e politiche, e tra le politiche e le europee.
Penso che rinnovare la fiducia alla classe dirigente ogni due anni non sia a breve termine. Aggiungo che è un valore che si dà all’iscrizione, perché in Statuto abbiamo il valore doppio per l’iscritto continuo nei due anni rispetto a chi si iscrive solo l’ultimo anno.
Se il Congresso fosse ogni quattro anni, come farebbe l’iscritto a dare un giudizio su quanto fatto il 25 settembre, ad esempio?
In una struttura fortemente maggioritaria come la nostra, trovo indispensabile il congresso biennale».

A proposito delle scorse elezioni, cos’è successo con Calenda nelle concitate fasi che hanno portato alla rottura tra +Europa e Azione?

«È successo che Calenda, dopo l’annuncio dell’alleanza Azione+Eu e Pd, si è visto mancare importanti finanziatori e non ha avuto il polso di spiegare la strategia alla sua base. Quindi sono bastati un attacco pubblico di Fratoianni – l’agenda Draghi non esiste – e l’accordo tra Pd e Nuove Energie per chiamare Letta a intervenire. Di fronte alla leggerezza di Letta, e alla difesa a tutti i costi di Della Vedova dell’accordo con il Pd, Calenda ha fatto un’inversione a U. Altro ingrediente è stato che né Letta né Bonino pensavano che senza esenzione firme Calenda sciogliesse l’accordo, e che la distanza con Matteo Renzi fosse troppo ampia per rendere possibile quanto poi è avvenuto.

Benedetto Della Vedova è convinto di aver fatto bene a mantenere la parola data al Pd, mentre in Assemblea gli abbiamo fatto notare che far diventare Azione un avversario sulla scheda elettorale, dopo due anni che andavamo da federati, non è stata una scelta azzeccata, come quella di una coppia che si separa perché uno dei due aveva un accordo con un ristoratore da rispettare. In quel caso il ristoratore era la classe dirigente del Pd, di cui Benedetto ha preferito guadagnarsi il rispetto. Peccato che un segretario di partito deve avere la capacità politica di trovare la miglior via d’uscita per il partito, non per il suo personale futuro politico».

come si collocano i candidati sulla questione alleanze, se rimanere con il Pd o confluire nel Terzo Polo?

«Siamo un partito che si dice liberaldemocratico ai congressi e poi alle elezioni diventa di centro sinistra.

Se si ascoltano i capolista e si leggono le presentazioni delle liste, nessuno dice di veder nel Pd un alleato e nel terzo polo un avversario, perché nel periodo del congresso torna la lucidità per constatare che i nostri interlocutori sono nello spazio liberaldemocratico che c’è oggi, e soprattutto in quello ancora da creare.

Se ascoltiamo l’assemblea nazionale post 25 settembre, i capolista Magi e Della Vedova erano contrari a tornare a collaborare con il terzo polo (entrambi sono parlamentari che si guardano bene dal far gruppo comune con il terzo polo). Valerio Federico e Giulio Del Balzo dicevano già allora che una collaborazione con Calenda e Renzi è inevitabile. Pedica e Monti sono liste minori legate alla segreteria e immagino timide verso il terzo polo. La settima lista è a nome di Pizzarotti ma mossa daòl’ex Piercamillo Falasca che, da collaboratore del ministro Carfagna nel governo Draghi, è sicuramente pro terzo polo.

Oggi tutti propongono di andare con una lista unica alle europee e avviare subito una costituente per un nuovo partito che comprenda tutta l’area libdem che fa riferimento all’eurogruppo Renew Europe, comprese le associazioni. Quanto questa costituente sia pronta per un partito post elezioni europee, dipende dalle regole sulle quali verrà unita.
Oggi per le amministrative di Vicenza e per le regionali lombarde, ad esempio, non si vede tutta questa unione».

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Giacomo Stiffan

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