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Curiosità

L’esistenzialismo ai tempi dei social, con Matteo Saudino

Published by
Marco Capriglio

In un mondo di velocità e di poca attenzione, dominato dai social, dai selfie e dall’apparenza, una riflessione di stampo esistenzialista può essere utile. Ad aiutarci in questo senso è professor Matteo Saudino, insegnante di filosofia presso il liceo “Giordano Bruno” di Torino. Nel suo canale YouTube BarbaSophia spiega e racconta concetti e storia della filosofia. 

Oggi theWise Magazine ha incontrato Matteo Saudino per un’amichevole chiacchierata a tema esistenzialismo, social media e mondo scolastico.

Da buon docente, ci dai una definizione di esistenzialismo?

«Innanzitutto darei una definizione ampia, ma concisa, di esistenzialismo. Esistenzialismo come atmosfera culturale, quasi come sensibilità, in cui si mette al centro l’esistenza umana e una riflessione su di essa nella sua complessità. C’è un esistenzialismo letterario, uno pittorico e ovviamente uno filosofico».

Matteo Saudino. Foto per gentile concessione dell’intervistato.

Autori complessi e profondi, forse un po’ trascurati oggi…

«Il discorso è molto complesso, il rischio di essere “catalogati” come conservatori è grande. Posso dire che sono autori complessi ma anche quaranta, cinquanta, settant’anni fa non erano letti dai più!

Sono autori tendenzialmente di nicchia perché hanno questa capacità disorientante di riflettere sull’esistenza umana. La voglia di mettersi in gioco richiede tempo e a volte mancano entrambe le cose: manca la consapevolezza stessa e manca il tempo.

Fatta questa doverosa premessa, direi che oggi gli esistenzialisti non godono di grande salute perché viviamo in un’epoca veloce, rapida, fatta di consumo. Il tutto con grande carenza di attenzione, la cui mancanza impedisce di andare in profondità, se non per una minoranza di persone. Gli esistenzialisti, che si muovono tra le pieghe dell’esistenza umana, sono quindi penalizzati.

Parafrasando Pascal, che per me è un proto-esistenzialista, si potrebbe dire che siamo nel divertissment più costante, oppure siamo nella vita dell’amante di Kierkegaard, o ancora nell’inautenticità di Heiddeger e così via. Di fatto, poco propensi a fermarci e a cercare di capire chi siamo e dove andiamo. Gli esistenzialisti oggi quasi “urtano”, perché ci mettono in discussione. Senza contare poi la difficoltà oggettiva dei testi stessi. Non sono tempi favorevoli per loro: troppo problematici in una società che non deve farsi troppi problemi. Deve vivere e andare!».

Ti costringono troppo a pensare, insomma…

«Tutta la letteratura costringe a pensare, altrimenti non sarebbe tale. Almeno i grandi classici! Il problema, o la bellezza, è che gli esistenzialisti ti costringono a pensare a te stesso.

Se ragioniamo su Hobbes, che parlava di guerra e di Stato, cosa c’è di più attuale? Ancora, per esempio, la democrazia e la Harendt. Sono utili riflessioni, ma sono collettive. L’esistenzialismo costringe invece a prendere in mano la propria vita, in una dimensione intima del singolo».

Parafrasando Heiddeger, come dicevi prima, possiamo dire che i social siano il mondo inautentico per eccellenza?

«Sì, è l’esistenza inautentica dell’apparenze, del “si dice”, del “si fa”. Ricordiamoci però che Heiddeger ha dentro di sé una spiccata antimodernità, con una cultura conservatrice di destra. Tendenzialmente ha un rapporto molto problematico con la tecnologia perché, più che a servizio dell’uomo, secondo lui questa lo domina.

I social portano sicuramente a una vita di “replica” e sono il simbolo della velocità, del “sentito dire”, dell’apparire, senza mai andare in profondità o cercare di capire il perché».

Soprattutto dalla scuola, come si può allora avviare i ragazzi al confronto un po’ più autentico?

«Questo è molto difficile. La scuola è un sistema totale, fatto di presenze, tabelle, voti… è numerificazione. Non penso che in questo tipo di scuola si possa andare a trovare in profondità l’essere umano. Più passano gli anni, più insegno, più ho un’idea negativa rispetto a tutto ciò.

Fermo restando che, dentro a questo sistema che standardizza, si può provare a valorizzare l’essere umano. Innanzitutto rallentando, prendendo tempo per leggere, riflettere e discutere insieme. Ancora si può dare senso alle cose e agli avvenimenti: tutto passa rapidamente, invece dobbiamo proprio soffermarci a dare un senso alle cose e a quello che si fa.

I nostri studenti fanno le cose senza sapere perché le fanno. Per questo il voto, elemento che tiene in piedi la scuola, è così “importante”. Lo studente va a scuola per prendere un bel voto, senza valorizzare quello che fa. Il voto andrebbe abolito. Abolito [scandisce bene la parola, ndr]!

Il voto serve in una scuola di massa, che cataloga, standardizza e ordina. Lo studente entra in classe e spera di non essere interrogato. Non funziona così. Questo non ha nulla a che fare con la promozione umana dell’individuo. Ci sono però docenti che provano a fare tutto questo e incidono realmente sulla crescita dei loro studenti, senza dimenticare le nozioni e gli strumenti, che servono nella vita e nel lavoro. Però l’essere umano è un’altra cosa».

Matteo Saudino in versione filosofo antico. Immagine per gentile concessione dell’intervistato.

Tu sei la prova provata che i social, nel tuo caso YouTube principalmente, possono essere usati in maniera consapevole. Ti soddisfa di più la tua classe di oltre duecentocinquantamila iscritti online oppure la tua classe di Torino, di una ventina di persone in carne e ossa?

«Domanda difficilissima [ride, ndr]! Dunque, il primato della presenza, del sentirsi, vedersi, odorarsi, è indiscutibile. Poter lavorare con una classe in presenza è bellissimo. Sarebbe certo più bello averla in presenza, ma non a scuola, per quello che si diceva prima. Una classe ideale, senza verifiche, senza tabelle di marcia, senza scadenze. Magari avere la mia numerosissima classe virtuale tutta in presenza, dove le lezioni sono libere e possonofare domande liberamente!».

sorge una domanda spontanea. Premetto, siamo nel mondo della fantasia, un gioco simpatico e “inautentico”, ecco… Secondo te, l’uomo del sottosuolo di DostoevskiJ avrebbe affrontato l’ufficiale, solamente per raccontare di averlo fatto, e magari postare una foto sui social?

«Come dici, è un gioco… però forse gli avrebbe dato un pungo proprio per dimostrare l’inautenticità del tutto. Facendo questo, avrebbe mostrato la pochezza del social stesso. Fare una cosa solo per raccontarla… il selfie è veramente l’apoteosi del “si dice”!».

Che consiglio dai ai tuoi studenti, in particolare a quelli che affronteranno gli Esami di Stato? E ai tuoi futuri colleghi?

«Agli studenti auguro di scegliere più in base al cuore che ai calcoli razionali. Scegliete quello che vi piace. Lo dico da docente… da papà non sempre si riesce!

Non dà senso alla vita scegliere in base all’utilità. Partite dal colore delle passioni, non dal grigio del calcolo utilitaristico. A lungo andare il prezzo da pagare sarebbe veramente enorme, in termine di infelicità. Avendo una sola vita a disposizione, l’infelicità è nemica dell’esistenza.

Ai futuri colleghi dico di non essere conformisti e di avere un po’ di spirito ribelle! La scuola va rovesciata dall’interno [ride, ndr]! Auguro a tutti noi docenti di non essere numeri tra i numeri».

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Marco Capriglio

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