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Regionali Lazio, Sinistra Italiana si allea con i Cinque Stelle. «Abbiamo scelto la coerenza sul programma»

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Giulia Rocchetti

L’ex senatore Massimo Cervellini, oggi segretario regionale di Sinistra Italiana nel Lazio, è candidato consigliere nella lista del Polo progressista di sinistra ecologista a cui Sinistra Italiana aderisce. Lo abbiamo intervistato per un commento sulle elezioni regionali del Lazio che si terranno il 12 e il 13 febbraio 2023.

Perché Sinistra Italiana ha preferito candidarsi apparentata al Movimento Cinque Stelle per Donatella Bianchi Presidente, anziché con il Partito Democratico?

«Perché non abbiamo trovato disponibilità da parte del Pd nel cercare una candidatura unitaria e in tal modo è venuta meno la possibilità di introdurre un’alleanza larga che avrebbe potuto sfidare adeguatamente la destra».

Un fronte progressista diviso però sembra un regalo al centrodestra.

«Lo è di certo, però noi abbiamo invitato, in conferenze stampa a livello regionale e nazionale, tutte le forze progressiste a fare ciascuna mezzo passo indietro per farne tutti insieme uno in avanti. Purtroppo, la candidatura di Alessio d’Amato [candidato dem alla presidenza della Regione Lazio, ndr] imposta dal Terzo Polo di Carlo Calenda e confermata dal Pd ha impedito questa alleanza vasta».

Sinistra Italiana auspicava un campo largo?

«Sì, intorno a una candidatura unitaria e a un programma condiviso avremmo potuto mettere in campo una coalizione, ma il profilo programmatico di Alessio D’Amato l’ha reso per noi impossibile. Quindi abbiamo deciso di avviare un confronto serrato con il Movimento Cinque Stelle per affrontare insieme le carenze principali della Regione Lazio: la sanità pubblica, i trasporti e la riconversione ambientale. Vogliamo occuparci delle questioni legate alla raccolta dei rifiuti ma anche dare inizio a progetti più ampi per la produzione di energia rinnovabile e non inquinante».

Quindi il vostro no al termovalorizzatore è definitivo?

«Sì, lo riteniamo una struttura obsoleta. L’Europa, con l’Agenda 2030, ha in previsione di sanzionare i Paesi che faranno ricorso a impianti di questa natura. Comporterebbe anche l’aumento della tassa sui rifiuti, perché le sanzioni verrebbero pagate dai cittadini. Per quanto riguarda la raccolta differenziata, nel Lazio il grosso problema è Roma. Gli altri paesi della provincia di Roma e della Regione si assestano su percentuali di raccolta del 70 per cento. Partendo da questi presupposti, si tratterebbe di bruciare una frazione rimanente di rifiuti. Il termovalorizzatore di cui si parla invece brucerebbe plastica, carta e legno senza che siano prima stati differenziati attraverso un processo industriale con impianti che consentano il riciclo dei materiali. Oltre che per le emissioni, siamo contrari al termovalorizzatore soprattutto perché, per evitare l’esaurimento delle risorse, dobbiamo preservare le materie che non sono inesauribili. La plastica e la carta vanno riciclate, non usate come combustibile».

Leggi anche: Il febbraio dei congressi, prima parte: +Europa.

Nel programma si menziona, per quanto riguarda Roma, anche la possibilità della raccolta porta a porta.

«Proponiamo la raccolta porta a porta anche a Roma per fare in modo che, invece di bruciare il tal quale, ci rimanga solo un segmento del 20-30 per cento di rifiuti da bruciare. Non escludiamo che una frazione finale possa essere bruciata dopo aver differenziato in partenza i rifiuti e averli trattati tramite impianti che riescano a recuperare i materiali ferrosi, il vetro, la plastica, il legno e la carta. L’impianto proposto invece parla di incenerire 650.000 tonnellate annue di tutto ciò che arriva, perché quel tipo di impianto ha bisogno di sostanze che fanno da carburante. È assurdo non voler neppure prendere in considerazione la possibilità di pensare a una forma impiantistica più modesta per bruciare una frazione residua di rifiuti. Saremmo stati disponibili a ragionare in una direzione di questo tipo.

Peraltro, anche il sito in cui verrebbe realizzato il maxi inceneritore, Santa Palomba, non è adeguato. Confina con comuni che ne risentirebbero sia per quanto riguarda le attività agricole, sia per il sistema della viabilità. Sono stato per diversi anni consigliere provinciale. All’epoca la Provincia aveva le competenze dell’edilizia scolastica superiore e della viabilità tra i compiti principali. In quel reticolo di strade dove vogliono realizzare l’inceneritore, quando si verificava un disagio sulla viabilità – anche solo se un temporale aveva creato danni al tratto stradale – c’erano problemi, perché lì ci sono vincoli paesaggistici, archeologici, della Sovrintendenza delle Belle Arti. Fare un impianto industriale d’impatto pesante in un luogo del genere, dove non ci sono grandi collegamenti ferroviari, significa che i detriti verranno portati da centinaia di camion che passeranno a tutte le ore per 365 giorni all’anno. Io vivo da 23 anni dove c’era Malagrotta, la discarica più grande d’Europa, e ricordo che anche alle due di notte a Capodanno passavano grandi compattatori dell’AMA che andavano e tornavano dopo aver scaricato l’immondizia. Allo stesso modo centinaia di compattatori ogni giorno attraverseranno quel reticolo di strade – tutte strade provinciali – che verrebbe stravolto da un impianto industriale di tale grandezza».

Nel programma come alternativa al termovalorizzatore proponete le rinnovabili. Come realizzarle nel Lazio?

«La produzione di energia rinnovabile è l’unica alternativa. C’è un progetto interessante, proposto dal sindacato CGIL e dall’Assessora uscente Roberta Lombardi del Movimento Cinque Stelle, per quanto riguarda la centrale Enel di Torrevaldaliga. Il piano per realizzare un impianto offshore eolico al largo delle coste di Civitavecchia è stato già depositato al MiTE [Ministero della Transizione Ecologica, ndr] e tra l’altro, non essendo visibile dalla costa, non sarebbe un problema dal punto di vista dell’impatto paesaggistico. L’eolico può e deve sostituire l’alimentazione della centrale Enel di Torrevaldaliga, che è stata a lungo alimentata dal combustibile a gas ma che, a causa della crisi generata dal conflitto in Ucraina, potrebbe tornare al carbone.

Il termovalorizzatore di Brescia. Foto: Jorrit Tornquist via Wikimedia Commons.

L’Italia è un Paese con migliaia di chilometri di costa, e questo è un vantaggio che potenzialmente ci permette di sostituire gran parte delle nostre centrali alimentate a gas con l’energia eolica che è inesauribile, oltre che a impatto zero. Anche per quanto riguarda il solare la scienza ha fatto progressi. Abbiamo pannelli più performanti e la possibilità di costituire delle comunità energetiche, allo scopo di alleviare il fabbisogno di edifici pubblici e condomini. Se c’è la volontà e un finanziamento nazionale ed europeo, si può abbassare la necessità di fossili per produrre energia. Noi non pensiamo come sognatori, anzi. I fossili prima o poi finiranno e noi abbiamo la possibilità di abbassare sempre di più il quantitativo necessario. Oggi magari non è ancora possibile un’alternativa totale con le rinnovabili, però se il fabbisogno scende da 100 a 30 la differenza è enorme, sia economicamente che sul piano dell’abbattimento dei livelli di inquinamento».

Tra le questioni principali da affrontare ha menzionato la sanità pubblica. Qual è la situazione attuale nel Lazio?

«Le convenzioni con i privati sono numerose e prendono gran parte del bilancio delle risorse della Regione, che non sono poche, visto che circa il 75 per cento delle risorse della Regione Lazio è dedicato alla sanità. Oggi la sanità è sempre più privata, solo per chi se la può permettere, per chi ha un’assicurazione. Inoltre, manca l’elemento della territorialità. Molti presidi sanitari sono stati chiusi e sul territorio ci sono situazioni di sofferenza. La periferia della regione, sia a Sud che a Nord, comincia a manifestare sulla sanità criticità pesanti, liste d’attesa di mesi e mesi, persino per patologie oncologiche. Le tempistiche in questi casi fanno la differenza tra la vita e la morte. Va fatto un investimento straordinario sulla sanità e non c’è stata, da questo punto di vista, nessuna volontà di evitare la privatizzazione.

Negli ospedali pubblici oggi ci sono infermieri e medici che sono in rapporto privato con cooperative e aziende. Sono lavoratrici e lavoratori privi dei diritti che un contratto pubblico dovrebbe garantire. Questo produce un disservizio che esaspera i pazienti. L’Ospedale Grassi di Ostia ha un rapporto infermiere-paziente che è di 1 a 33. Non è una situazione sostenibile, né per i pazienti né per il personale medico-sanitario. Bisogna assumere e rimuovere gli ostacoli legislativi nazionali, perché con il blocco del turnover gli infermieri e le infermiere che vanno in pensione si possono sostituire in un rapporto di dieci a uno. A breve anche nel pubblico avremo tutti lavoratori con contrattualità privata, sfruttati e senza diritti».

Leggi anche: Sanità pubblica, tsunami di gente in piazza: l’intervista a Chiara D’Ambros e Massimo Cirri.

Nel programma del Polo Progressista viene menzionata, per quanto riguarda la modalità dei trasporti, la “cura del ferro”. In cosa consiste?

«Per i trasporti e la mobilità sostenibile prevista dal PNRR l’Europa è disposta a investire risorse importanti se ci si muove verso una riconversione ambientale. In questo senso non possiamo essere d’accordo con le proposte sia di D’Amato che di Francesco Rocca [candidato per il centrodestra, ndr] che sono simili tra loro. Entrambi propongono di trasformare la Pontina in un’autostrada privata a pagamento. Molte persone ogni giorno, per lavoro e per studio, si spostano dalla parte Sud della regione – da Latina, Aprilia, Pomezia, Ardea – per convergere su Roma: non è possibile offrire come unica prospettiva un’autostrada privata. È l’opposto dell’intento con cui l’Europa stanzia i fondi tramite il PNRR, perché è la riconversione ambientale la base di queste risorse che ci vengono fornite.

La modalità che auspichiamo è un grosso investimento sul ferro, con metropolitane regionali utili per i pendolari. Bisogna realizzare in tempi record – anche in previsione del Giubileo del 2025 – un nuovo sistema di trasporti. Bisogna anche investire in tratte già esistenti, perché presentano un sistema che non è degno di una capitale europea. Mi sono recato la scorsa settimana a prendere il treno sulla tratta Roma-Lido. Ho trovato una realtà per nulla adeguata alle necessità delle persone. Al mattino, quando molte persone si muovono da Ostia verso Roma, le corse previste ogni venti minuti portano spesso un ritardo di dieci minuti. Nell’orario di punta, su una tratta fondamentale come quella, i cittadini sono costretti a orari di frequenza che superano la mezz’ora. Le metropolitane delle capitali d’Europa sono servite da frequenze di cinque minuti, che rispondono alle esigenze di fasce orarie fondamentali, il mattino e la sera. Non è un caso se la tratta Roma-Lido vince sempre il Premio Caronte, che si assegna alla peggiore tratta di trasporto metropolitano italiano».

È possibile che l’alleanza con i Cinque Stelle impatti negativamente sull’elettorato di Sinistra Italiana?

«Certamente è un percorso nuovo per noi, però Giuseppe Conte [leader del M5s, ndr] ha avviato da mesi un processo di trasformazione interno al Movimento. Mi sembra che si vada precisando la volontà di rappresentare una forza progressista, diversa rispetto a quella populista e qualunquista degli inizi. Su molti argomenti le nostre opinioni differiscono ma abbiamo deciso di formare una lista progressista di sinistra ecologista perché sulle questioni fondamentali c’è sintonia».

Art. 1 è rientrato nel Pd: si può ipotizzare nel prossimo futuro una riunificazione di tutte le componenti di sinistra?

«Il gruppo dirigente di Art. 1 è tornato nel Pd e in occasione delle elezioni nazionali alcuni esponenti sono stati eletti parlamentari nelle liste dei dem. A livello regionale, però, ho assistito a una grande assemblea che si è tenuta circa due mesi fa in cui presenziavano una serie di esponenti di Art. 1 che hanno rifiutato questo percorso e si sono costituiti in coordinamento provvisorio verso il Partito del Lavoro. Alcuni sono candidati e candidate dentro la lista del Polo Progressista. Credo si possa dialogare con loro, come con altre realtà della sinistra progressista, per costruire un campo di forze ma anche per discutere di una soggettività politica unitaria».

Cosa pensa dell’attuale Pd?

«Ora è in una fase congressuale ed è chiamato a fare delle scelte. Credo che oltre a stabilire il segretario o la segretaria, debba decidere chi vuol rappresentare: un partito non può rappresentare tutti. Deve capire qual è la sua base culturale e sociale di riferimento. Un partito deve sapere se è per la difesa di lavoratrici e lavoratori o si rivolge tanto a loro quanto alle imprese. Per noi, con le imprese bisogna dialogare, sapendo però chi si vuole tutelare. Così come altre forze politiche difendono prevalentemente gli interessi delle grandi e medie imprese, credo che per la sinistra il primo punto sia la tutela dei lavoratori e dei ceti più poveri, che stanno pagando questa crisi.

Nei quartieri popolari di Roma e in alcune zone della provincia e della regione i ceti più esasperati votano la destra o il Movimento 5 stelle. Deve esserci un motivo se il Pd, il partito più grande della sinistra, riscuote consenso solo nelle zone socialmente più avvantaggiate della città, della regione, del Paese. La verità, per dirla con Antonio Gramsci, è che la parola “partito” presuppone che tu sia partigiano. Pensare di parlare a tutti su ogni punto del programma è impossibile. Faccio un esempio, tornando per un attimo alla sanità. È legittimo che Calenda parli di sanità d’eccellenza, laica e confessionale, rigorosamente privata. Legittimo, ma non ci appartiene. Noi vogliamo far sì che il diritto alla salute si eserciti con il servizio sanitario nazionale. La legge prevede rapporti con strutture sanitarie private di cui avvalersi in convenzione, laddove la sanità pubblica dovesse avere una carenza. Però deve essere un’eccezione, non la regola. Per questo, ribadisco, non si può parlare a tutti. Quando si scrive un manifesto programmatico, bisogna decidere da che parte stare».

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