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Spettacolo

Io sono vivo, voi siete morti: Carrère e Philip K. Dick

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Valentina Calissano

Io sono vivo, voi siete morti: questo è il titolo scelto da Emmanuel Carrère per racchiudere la vita di Philip K. Dick in una biografia densa e sregolata. Una narrazione che si specchia con limpidezza nel carattere e nella storia dell’autore di fantascienza, così imprevedibile da cambiare sempre compagne e famiglia, orientamento e rotta. Solo una cosa non cambia mai: il bisogno di raccontare quella verità distopica sempre invisibile che di certo regge tutto il mondo.

Pagine della nuova edizione Adelphi di Io sono vivo, voi siete morti. Foto: Valentina Calissano.

La genesi di Io sono vivo, voi siete morti

La biografia di Philip K. Dick arriva per la prima volta in Italia per Adelphi nel 2016 e a settembre 2022 la casa editrice ne ha tratto una nuova edizione, pubblicata nella collana economica. Tuttavia l’edizione in lingua originale risale al 1993, anno in cui un esordiente Emmanuel Carrère decide di mettersi in gioco e raccontare la vita di uno dei suoi autori preferiti.

Nella prefazione della nuova edizione Adelphi viene detto in modo chiaro: l’autore francese ha sempre amato Philip K. Dick, i suoi romanzi quanto la sua vita spericolata, e non ha mai smesso di leggerlo. Proprio per questo ha voluto rendere omaggio alla vita del popolare scrittore di fantascienza raccontando a modo suo sregolatezze e genio di un uomo sempre in bilico tra la follia e il divino.

Leggi anche: Una struttura per l’irrealtà: Kuki Shuzo e l’iki.

Per quasi quattrocento pagine, Carrère viaggia nelle storie vere e inventate di Dick. Ripercorre tutti i rapporti d’amore e d’odio con donne di ogni genere, dalla madre e la sorella alle amanti di una notte. Bussa alle porte di ogni casa in cui ha traslocato, lascia intendere di aver pedinato amici e vecchie fiamme per ricostruire dinamiche altrimenti inspiegabili. Come un detective mette insieme stracci di manoscritti e, con spirito filologico, collaziona coincidenze tra la vita e la pagina scritta.
È con questo metodo di indagine che Carrère riesce a restituire, tanto al lettore appassionato quanto a quello occasionale, una vita autentica.

Philip K. Dick in una foto da giovane. Foto: Arthur Knight.

Il rapporto tra Emmanuel Carrère e Philip K. Dick

Per molti versi sembra di essere all’interno di un romanzo.
Certo, la vita di Philip K. Dick fornisce tutto il materiale necessario a costruire storie incredibili su storie improbabili, però anche la migliore storia ha bisogno di un sapiente narratore.

Carrère aveva esordito da dieci anni quando scelse di pubblicare la biografia di Dick. Di fatto stava muovendo solo i primi passi di una carriera che ormai vanta l’apprezzamento di diversi romanzi e alcuni premi della critica letteraria.
Io sono vivo, voi siete morti sembra essere l’esperimento riuscito che aprirà la strada alla narrazione della vita di uomini veri, ossia veramente esistiti. A distanza di circa nove anni pubblicherà infatti Limonov, la vita romanzata del leader dissidente russo. E così si confermerà la capacità di Carrère di analizzare i dati e ricostruirli senza appesantire la narrazione.

Anzi, sono proprio le abilità di romanziere a permettergli di concatenare i fatti rendendoli coerenti tra loro senza scadere nella cronaca o nel mero reportage. Ogni singolo avvenimento riportato alla memoria ha un significato complesso, ha un senso profondo come tassello di una composizione più ampia. Ha una sua ragione d’essere e di per sé riflette il profilo psicologico, o il caso patologico se si parla di Philip K. Dick.

L’autore francese Emmanuel Carrère. Foto: Wikimedia Commons.

Carrère insegue Dick

Nel corso di Io sono vivo, voi siete morti, spesso Carrère interviene in maniera diretta per parlare con il lettore. Se in alcuni punti sembra voler giustificare la mancanza o la frammentarietà delle fonti, il più delle volte risulta come uno studioso orgoglioso di essere riuscito a scovare dettagli che prima di allora nessuno aveva mai menzionato.

Una cosa va ben intesa: Philip K. Dick era molto popolare già in vita.
Per più di un momento la sua fama ha sfiorato l’idolatria. Erano gli anni Settanta e molte cose erano fumose, soprattutto per effetto delle droghe. Un autore che parla delle storture del mondo come di una vera e propria distorsione nelle tre, o più, dimensioni non poteva passare inosservato.

Infatti molti lettori arrivarono ad amarlo anche troppo. A ritenere che lui stesso fosse in grado di vedere una realtà nascosta, di manipolarla come un creatore di mondi. A trasformare l’autore di fantascienza in una figura divina che tutto vede e tutto può.

È in questo marasma di storie inventate e leggende improbabili che si muove e si destreggia con abilità un metodico Carrère.
Deve comprendere le scelte di Philip K. Dick e deve anche saper romanzare la sua vita senza discostarsi troppo dai fatti. Lo insegue, di relazione in relazione, da una città all’altra, da una vita all’altra, e non perde mai di vista l’uomo, con i suoi problemi e le sue idee geniali.

Emmanuel Carrère. Foto: Casa de América.

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Dick trova Carrère

Si immerge nei romanzi che ha già letto da ragazzo e che, nello scrivere, si ritrova a studiare non più come un appassionato, ma come un autore di biografie.
Certo, tra le pagine si intuisce quanto Carrère ami la scrittura geniale di Philip K. Dick; quanto la distopia, quanto la creazione di mondi così surreali da essere possibili lo affascinino e lo attirino. Ma è anche chiaro che non si sta limitando a simpatizzare per il suo autore preferito.

Sta costruendo un romanzo in piena regola.
Sta rimettendo insieme i pezzi di una vita passata a porsi domande giuste e prendere le decisioni sbagliate. Ma anche il contrario. Soprattutto il contrario.

Philip K. Dick, così come lo racconta Carrère, non è mai stato uno scrittore responsabile. Anzi, ha continuato a scavare dentro sé stesso senza tener conto delle conseguenze, passando da un estremo all’altro, nelle profondità della verità e della menzogna. Incurante e folle, ha continuato a vomitare nero su bianco finte verità e autentiche falsità, in una produzione letteraria infinita e surreale.

Cercare di rimettere in ordine in un’opera organica questa vita, o queste mille vite, è un esercizio di stile che richiede mente lucida e amore spassionato.
Carrère lo sa. Per questo alla fine in una riuscitissima biografia, rivela al lettore l’unica verità: lui è vivo, noi siamo morti.

Copertina del romanzo Ubik, dal quale è tratto la citazione che dà il titolo alla biografia. Foto: Seth Anderson.
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