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Perché in quel selfie è come se fossimo entrati tutti

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Fabio Loperfido

Quanto successo recentemente nella camera ardente di Maurizio Costanzo ha scosso l’opinione pubblica e non solo. Alcune persone hanno chiesto un selfie alla recente vedova Maria De Filippi. Un gesto evidentemente sconsiderato che non ha lasciato indifferente il popolo del web, che è insorto contro i poco accorti avventori. Di questa triste situazione vi sono due aspetti principali da analizzare. Uno riguarda gli attori principali, ovvero gli sconsiderati individui che hanno chiesto, con estrema noncuranza del contesto e della situazione, il selfie. L’altro invece riguarda tutto quello che è successo in seguito, con l’ondata di odio che si è scatenata con forse ancora più noncuranza e non consapevolezza di quello che, inevitabilmente, stava succedendo.

Pornografia del dolore o semplice egocentrismo?

Iniziamo con il primo aspetto, considerando quindi quanto è stato fatto da quelle persone all’interno della camera ardente. Non ci sono giustificazioni che tengano: l’invadere lo spazio di una persona che ha appena subito un forte lutto è un gesto fortemente indelicato. Ma cosa ha portato questi individui a chiedere un selfie a Maria De Filippi? Si tratta della ormai nota pornografia del dolore adattata al singolo, oppure di un tentativo di accrescere la propria fama, il proprio egocentrismo? La motivazione sembra abbracciare entrambe le tesi.

La pornografia del dolore nacque con il giornalismo d’assalto negli anni Ottanta. Con ogni probabilità il caso di Alfredino Rampi, il bambino caduto in un pozzo artesiano nel 1981, ne segna l’inizio. Con l’avvento dei social network improvvisamente lo spettro si allarga: non sono più solamente i giornalisti a poter perpetrare questo macabra usanza, bensì ognuno in possesso di un telefono e, forse, abbastanza sfacciataggine.

Dall’altro lato, invece, si possono riconoscere i famosi quindici minuti di celebrità che Andy Warhol profetizzò oramai più di cinquanta anni fa. Quale altrimenti potrebbe essere il motivo di chiedere un selfie, emblema del dilagante solipsismo moderno, davanti ad una bara? Quale, se non il mostrare poi con estrema soddisfazione tale trofeo ad amici e parenti, finalmente soddisfatti di aver incontrato una persona famosa? Oppure condividerla direttamente sui propri canali social, così da mostrare a un pubblico più ampio possibile il proprio essere diventati, in parte, importanti? Per poi ricevere l’immancabile dose di dopamine rilasciate dai vari mi piace e commenti increduli dei follower per tale successo.

Ora, quasi certamente, tutto questo non avverrà per via della conseguente ondata di odio che si è scatenata nei confronti di queste persone, che si guarderanno bene dal far sapere in giro di essere stati proprio loro a compiere il misfatto. Anche se oramai i loro visi sono immortalati, in modo perenne e perentorio, sulla rete.

La gogna pubblica e lo spietato tribunale social

Si tratta dell’ennesimo episodio nel quale questa informe massa, chiamata opinione pubblica, si muove contro un gesto avventato, una frase uscita male, un’uscita indelicata. Con l’avvento del web e dei social network tutto questa ondata aumenta la sua portata in maniera esponenziale, dato che la gogna pubblica è raggiungibile da tutti, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Ognuno si sente legittimato a prendere parte a quell’informe tribunale che si forma in maniera spaventosamente naturale.

È necessario però chiarire una cosa. Nella storia dell’essere umano è da sempre esistita la gogna pubblica. Basti pensare al periodo medievale europeo, da dove oltretutto trae origine proprio il termine gogna. Oppure al sistema delle caste, ad esempio quello indiano, con la casta degli intoccabili. Come non citare, infine, l’usanza della lapidazione pubblica, citata anche nel Vangelo. Ed è proprio in questo contesto che Gesù pronunciò la celebre frase; «Chi è senza peccato scagli la prima pietra».

L’uomo infatti ha sempre sentito il bisogno insito di puntare il dito verso il peccato altrui, di giudicare sempre con fare sprezzante le malefatte degli altri. Che siano stati omicidi, adulteri o furti, l’individuo, per il suo vivere in società, con più forza riusciva a esprimere la sua totale riprovazione per il fatto, più lo allontanava da sé e dai suoi cari. È proprio questo il fine ultimo della gogna. Allontanare da sé il fatto, sentirsi totalmente estranei e, in qualche modo, puri rispetto all’impurità commessa. Come detto in precedenza, questo è sempre avvenuto. Dagli arbori della storia dell’uomo, passando per le gogne medievali, per arrivare a quelle pubbliche – viene in mente la triste passerella alla quale fu costretto il compianto Enzo Tortora – per poi finire con la gogna social. Questa è forse la più spietata.

Leggi anche: Offese in Laguna – Le liti social che imbarazzano il Venezia FC.

Il tribunale social e il caso Fedez

Oltre al caso in questione, ossia il malaugurato selfie con la neo-vedova Maria De Filippi, quello che ha destato più scalpore nel recente passato è senz’altro quanto nato dalla diatriba tra il cantante Fedez e il giornalista Mario Giordano. A seguito di un presunto servizio da mandare in onda nella trasmissione di quest’ultimo, Fuori dal coro, Fedez ha reagito attraverso i suoi canali social, esprimendo la sua riprovazione con termini e modi non del tutto amichevoli, per usare un eufemismo.

Da quel momento si è scatenata una guerra interna, a colpi di commenti e reaction. Due folte schiere di sostenitori dell’uno e dell’altro si sono infatti riversate sui profili social del “nemico” in questione. Senza alcuna pietà, sono incominciati a fioccare commenti dal tono estremamente aspro nel migliore dei casi, fino ad arrivare a vere e proprie ingiurie e minacce nel peggiore. Anche in questo caso il discorso è il medesimo: non solo ognuno si sente in diritto di dire la propria insindacabile opinione, ma deve inoltre dimostrare quanto la faccenda in questione sia lontana dal proprio vivere e dalla propria sfera personale.

Ti meriti Alberto Sordi!

Il fattore che rende questa dinamica ancor più problematica risiede nella depersonalizzazione che si attua attraverso il mondo digitale. Vedere un video, reagire scrivendo un commento o sostenere attraverso un mi piace fa perdere la reale percezione delle cose. Ciò porta a dimenticare che dall’altra parte c’è un essere umano in carne e ossa. Non diverso nella sostanza, con i suoi punti di forza e le sue debolezze. Che avrà, quindi, esattamente come ognuno i suoi momenti difficili nei quali potrà fare delle uscite infelici, potrà non essere al massimo della forma e potrà persino esprimere rabbia in modo non proprio consono. Tutto questo non deve e non può giustificare alcun insulto, alcuna minaccia.

È importante inoltre il non confondere la sezione commenti di un post con il proprio circolo di amici, il proprio pub di fiducia. Mentre nel secondo contesto è possibile parlare e commentare senza ferire nessuno, nel primo caso il proprio pensiero può essere letto da chiunque. Sia dalla persona interessata, che ne subirà le conseguenze dirette, sia da altri individui giunti lì per dire la loro che, leggendo il commento, si sentiranno legittimati a infierire, magari rincarando la dose. Sono due contesti diversi che, confusi, potrebbero delle volte portare a conseguenze tragiche. Giudicare gli altri, puntare il dito senza alcuna pietà, non farà risultare migliore la propria persona. La farà, anzi, scadere moralmente, rendendola potenzialmente peggiore di chi ha commesso il fatto in prima persona.

Una volta innescato questo circolo vizioso, infine, la competizione al dimostrare di essere puri ed esenti da colpa sarà sempre più accentuata. I commenti più aspri, l’umanità sempre più lontana. Nanni Moretti in Ecce Bombo in una storica scena esclama a un uomo al bar: «Te lo meriti Alberto Sordi», per via delle frasi qualunquiste e di poco valore di quest’ultimo. Agire in questo modo porta a meritarsi nient’altro che Alberto Sordi, con le proprie paternali qualunquiste e la propria candida stola bianca da sfoggiare con fiero e sprezzante orgoglio.

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Fabio Loperfido

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