Giornali, teatro, libri, radio, tv, università, cinema (una regia e più sceneggiature dimenticabili, ma anche Una giornata particolare). Ipercinesia di un girasole sempre baciato dal raggio dei potenti.
Maurizio Costanzo è stato il camaleonte tentacolare che sapeva fiutare, più che anticipare i mutamenti dell’industria culturale italiana. Cavalcarli più che guidarli. Percepì che la neotelevisione metteva in cantina la missione educativa e saltò sul carro del Caimano. Consapevole che Berlusconi lo avrebbe maneggiato per blandire i suoi futuri elettori, non oppose nessuna resistenza. Anzi…
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Bulimico di lavoro, paternale e anfitrionico, dominante ma non dispotico, familista ed ecumenico, perdonista dell’imperdonabile (soprattutto a sé stesso), fu il popolare che scala le montagne russe del dopoguerra per conquistare i salotti e i favori che contano.
In principio fu la carta stampata che amò sempre senza fortuna: iniziò con il patrocinio di Montanelli, è morto megafono del berlusconismo. I fallimenti da direttore – La Domenica del Corriere e L’occhio – come trampolino per il piccolo schermo: dal 1976 è il volto di Bontà Loro su Rete Uno. Prima dello scandalo P2, intanto, intervistava allegramente Licio Gelli fingendo di non conoscerlo. Poi ritrattò: «Un grosso errore giovanile, ma gli errori fanno crescere. Non credo a chi dice di non averne mai fatti». Il compagno di tessera, sempre Berlusconi, però, lo premia con uno spazio sulla rampante Rete 4.
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In questi giorni di peana acritici, con una smemoratezza e piacioneria che
ricorda la sua, Costanzo è stato incoronato da tutti come l’inventore del talk show, l’antesignano della tv in salotto e da salotto. Quattordici anni prima, però, Zavoli, con il Processo alla tappa (ancora in onda, con buona pace del MCS), riuniva giornalisti e sportivi al seguito del Giro d’Italia.
A Costanzo il merito di aver ingigantito e (super)spettacolarizzato quello spazio, prendendo in ostaggio l’Italia da seconda serata e rompendo il diaframma pubblico-privato prima della società digitale. Con l’ultima moglie convinse gli italiani a “vivere” delle vite degli altri; più gossip che politica, più cuori infranti che artisti, più avanspettacolo che lotta a quella mafia che cercò di farlo saltare in aria.
Spaccò l’Italia tra chi andava al suo show e chi no. Tra chi considerava il Maurizio Costanzo Show rumenta e chi l’unico confessionale nazionalpopolare. Il palco del Parioli come sinonimo di performance e tornacontismo, egotismo e liturgia del potere travestita da par condicio. Una frittura mista del qualunquismo dove tutto si mescola, si pubblica, si cicaleccia, si assolve. Si celebra. Come il suo anfitrione.
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