Nel suo La mutazione (Rizzoli 2022) Luca Ricolfi esamina come le idee di sinistra sono migrate a destra. L’autore non è nuovo rispetto ad analisi sulla sinistra, afflitta dal “complesso dei migliori” o dalla sindrome del rappresentare “la parte migliore del Paese”. E ancora, dall’incapacità di capire la protesta. E anzi, coltivare il disprezzo nei confronti dei ceti popolari, ritenuti incapaci di conoscere i propri interessi votando a destra. Negli anni, la sinistra si è fatta sempre più politically correct, aggressiva e illiberale. Tanto che, appunto, le idee di sinistra sono migrate. La difesa dei deboli e la libertà di espressione in primo luogo. Allo stesso momento la destra è riuscita ad assimilare alcuni tratti tipici della sinistra, pur non compromettendo i propri valori. Sostiene Luca Ricolfi che dunque da destra dispone di un valore aggiunto.
Dopo il crollo del muro di Berlino si sono presentate due sinistre. La prima «si sentiva rappresentante privilegiata degli interessi della classe operaia, lottava per gli aumenti salariali, la redistribuzione del reddito, l’espansione del welfare. In qualche caso, aveva un occhio di riguardo per l’Unione Sovietica e simpatie più o meno velate per il comunismo. La sua stella polare erano i diritti sociali, la sua parola d’ordine “eguaglianza”». La seconda «ripudia senza ambiguità il comunismo, accetta il capitalismo e l’economia di mercato, crede nei benefici della globalizzazione, è cosmopolita, combatte le discriminazioni, difende gli immigrati, è impegnata nelle grandi “battaglie di civiltà”: unioni civili, eutanasia, liberalizzazione delle droghe, diritti LGBT. La sua stella polare sono i diritti civili, la sua parola d’ordine “inclusione”». Si è arrivati al paradosso che oggi «il consenso alla destra è massimo nei ceti più umili, che non hanno conseguito neppure un diploma di scuola superiore, ed è minimo nei ceti più attrezzati, che hanno conseguito la laurea».
In Occidente i “vincenti” della globalizzazione sono nelle aree urbane e votano sinistra. I “perdenti” sono redistribuiti nelle periferie e votano a destra. Negli anni Settanta la sinistra toccò il massimo il suo prestigio: erano gli anni del femminismo, dei referendum, della conquista incontrastata di cultura e media. Con la caduta del Muro di Berlino e l’avvio della globalizzazione, «persuasa dei benefici del commercio mondiale e delle virtù del mercato, […] la sinistra abbandona quasi in toto le grandi battaglie per i diritti sociali […], per indirizzare tutte le energie su due sole questioni: diritti civili, difesa degli immigrati. Diritti gay, coppie di fatto, quote rosa, fecondazione assistita, maternità surrogata, stepchild adoption, eutanasia, depenalizzazione delle droghe, testamento biologico, linguaggio sessista, omofobia, transfobia, diritti degli immigrati, accoglienza […] hanno contribuito […] a edificare quel senso di superiorità morale […]. Simmetricamente, operai, disoccupati, lavoratori precari, artigiani sono completamente scomparsi dai suoi radar».
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D’altra parte, «grazie alla difesa intransigente degli immigrati e dei loro diritti, può continuare ad autopercepirsi come paladina degli ultimi, anche se ha perso gli operai. Gli immigrati sono una specie di “assicurazione” contro la perdita di identità della sinistra». I progressisti in Italia sono rimasti «irrimediabilmente leninisti nell’anima, prigionieri dell’idea che il popolo non sia in grado di prendere coscienza dei propri interessi da sé, e che per far maturare tale coscienza siano indispensabili le “avanguardie”, guide politiche e spirituali delle masse incolte». E poi: «La gente ha paura, e pensa che la criminalità sia un pericolo? La sinistra disquisisce sulla distinzione fra tasso di criminalità reale e tasso “percepito” […]. La gente pensa che […] gli immigrati mettano a repentaglio la tranquillità e la sicurezza degli italiani? La sinistra le spiega che la diversità è un valore, e gli immigrati sono una straordinaria occasione di dialogo».
E ancora: «La gente pensa che la globalizzazione sia una minaccia? La sinistra le spiega che si tratta di una grande opportunità. La gente pensa che l’Europa sia un problema? La sinistra le spiega che l’Europa non è il problema, […] è la soluzione. La gente si lamenta perché, nell’accesso ai servizi sociali […] si trova a fare la fila con decine di immigrati? La sinistra le spiega che è solo grazie ai contributi sociali degli immigrati che possiamo ancora pagare le pensioni agli italiani. La gente pensa che gli immigrati rubino posti di lavoro agli italiani? La sinistra le spiega […] che quei posti di lavoro gli italiani non li vogliono più […]. La gente pensa che in Italia si dovrebbe entrare solo in modo legale, e che non possiamo accogliere tutti? La sinistra risponde che l’accoglienza è un dovere civico».
D’altra parte, è un fatto che in molti settori la concorrenza dell’insegnare spinge il livello di salari degli italiani verso il basso. È un fatto che il tasso di criminalità tra gli immigrati è più alto rispetto a quello degli italiani. È un fatto che l’accesso ai servizi sociali sanitari è più difficile se ci sono molti stranieri. O che la globalizzazione non ha solo creato ma anche distrutto posti di lavoro. O che in alcuni quartieri per via della criminalità la vita è diventata impossibile. La destra è stata capace di veicolare questi contenuti in un messaggio politico credibile. Marcello Veneziani (Comunitari o liberal), sosteneva che dagli anni Duemila l’alternativa non era tanto tra destra o sinistra, ma liberal e comunitario. «E il popolo ha scelto», sentenzia Luca Ricolfi. «Non la destra sulla sinistra, ma il comunitarismo tiepido della destra contro il liberalismo radicale della sinistra».
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La sinistra si è spostata sul concetto di inclusione che, tuttavia, non conosce limiti, «nel senso che è dilatabile all’infinito e in tutte le direzioni: basta costruire la presunta vittima, categoria oppressa, soggetto fragile e […] le sue esigenze […] acquistano il diritto all’inclusione e al riconoscimento. A differenza di quello di eguaglianza […] il principio di inclusione esige la sottomissione della collettività a ogni sorta di rivendicazioni particolari, individuali e di gruppo». Una sinistra che stabilisce le equazioni “sinistra = antirazzismo” e “destra = razzismo” è un pericolo per la democrazia. Luca Ricolfi analizza anche gli elementi della Critical Race Theory. «L’idea di fondo è che razzismo e discriminazione non siano comportamenti individuali […], ma siano “sistemici”, ossia diffusi in modi più o meno invisibili in tutto il sistema sociale, a partire dal medium fondamentale del linguaggio».
Ricolfi sottolinea quanto questa visione sia contro la visione illuminista liberale, ma anche ugualitaria secondo i precetti di Martin Luther King. Il quale «pensava che tutte le differenze di razza, etnia, genere dovessero diventare irrilevanti, e che a contare dovessero essere solo le altre differenze (quelle che fanno di ogni individuo quel che è, con i suoi pregi e i suoi difetti)».
Quanto alla cancel culture, ai suoi teorizzatori sfugge un elementare concetto. Cioè leggere un’opera e collocarla all’interno dell’epoca di cui essa è espressione. Il politicamente corretto alla base della cancel culture prevede l’intimidazione e la punizione dei reietti. Il nuovo nemico è il maschio bianco eterosessuale occidentale. La sinistra si è fatta paladina di teorie secondo cui maschi e femmine si “diventa”. Il sesso è dunque una scelta. Questi atteggiamenti e prese di posizione estreme consentono alla destra di presentarsi come paladini della libertà di espressione.
Il che sarebbe paradossale. «Ci troveremmo di fronte a un inedito assoluto: una destra che difende la libertà di espressione e raccoglie il voto dei ceti popolari, contro una sinistra che difende la censura e attira il voto dei ceti istruiti e dell’élite». Il tema dell’eguaglianza è un altro elemento a cui l’autore presta attenzione. Ricolfi critica la teorizzazione “destra = diseguaglianza” di Norberto Bobbio (Destra e sinistra) e distingue tre tipi di uguaglianza, tutte dimenticate della sinistra. «La prima forma è quella classica, secondo cui eguaglianza significa eguaglianza delle condizioni di arrivo. La realizzazione dell’ideale si compie costruendo una società senza classi, in cui la produzione del reddito è governata dalla pianificazione centralizzata […]. La seconda […] è la correzione delle condizioni di arrivo mediante la redistribuzione fiscale e il welfare […] affidando la produzione al mercato, ma intervenendo per correggerne i malfunzionamenti».
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La terza «è quella dell’eguaglianza delle condizioni di partenza. Questa […] è la forma che l’ideale egualitario ha assunto nella cultura liberale, da Luigi Einaudi a John Rawls e a Thomas Nagel, ma oggi è anche la forma prevalente nella sinistra riformista».
Ricolfi analizza anche il rapporto tra la sinistra e la cultura. Un luogo comune specialmente in Italia che la cultura sia qualcosa di sinistra. Ma non è così. Secondo Giovanni Raboni, intellettuali quali Emil Cioran, Louis-Ferdinand Céline, Carlo Emilio Gadda, Hermann Hesse, Eugène Ionesco, Filippo Tommaso Marinetti, Eugenio Montale, Ezra Pound, Giuseppe Prezzolini, Aldo Palazzeschi, Gabriele D’Annunzio e Benedetto Croce sono di destra. Ricolfi aggiunge anche Mario Vargas Llosa, J.R.R. Tolkien, Dino Buzzati, Grazia Deledda, Leo Longanesi, Vincenzo Cardarelli, Piero Chiara, Ennio Flaiano e Giovannino Guareschi. La ragione dell’equazione “cultura = sinistra” è dovuta al fatto che gli autori di destra operavano prima della Seconda guerra mondiale.
Un altro argomento toccato da Ricolfi è la questione scolastica. «Se le condizioni di partenza sono troppo diverse […] la meritocrazia degenera in qualcosa di profondamente illiberale». L’abbassamento della qualità della scuola renderà il ragazzo non meno ma più dipendente rispetto all’ordine sociale. «Abbiamo abbassato la qualità dell’insegnamento per rendere il sistema meno selettivo, ma il risultato è che siamo riusciti nel miracolo di ridurre la qualità dell’istruzione e al tempo stesso aumentare la selettività del sistema. […] La vecchia scuola era molto più esigente e selettiva nella fascia dell’obbligo, ma proprio per questa sua maggiore selettività permetteva a chi superava i primi ostacoli di affrontare i livelli successivi con più chance di successo. La scuola riformata, invece, non frappone alcun filtro nella fascia dell’obbligo, e proprio in virtù di questa sua rinuncia a selezionare […] rende molto più difficile, per i ragazzi, superare gli ostacoli dei gradi successivi dell’istruzione».
L’adesione critica all’ideologia del politicamente corretto rappresenta la metamorfosi che ha regalato alla destra la rappresentanza dei ceti popolari, nonché la rappresentanza dei ceti la rappresentanza della difesa della libertà di espressione. Che un tempo erano tipiche del mondo progressista. Conclude Ricolfi: «Sinistra e destra hanno un differente rapporto con il “progresso”, inteso come l’insieme dei cambiamenti economici, sociali e culturali che hanno investito le società capitalistiche occidentali dopo la fine della Seconda guerra mondiale. La sinistra, e in special modo la sinistra ufficiale, ha una visione illuministica dei processi di modernizzazione. Per lei la storia del capitalismo, pur fra mille contraddizioni, è una sequenza di progressive conquiste». Oggi la difesa della libertà d’espressione ha ceduto il passo alla deriva del politicamente corretto e della CRT in nome del concetto di inclusione, che ha cancellato gli obiettivi di cultura laica della sinistra di un tempo.
D’altra parte, la destra ha progressivamente maturato un giudizio nuovo e più negativo nei confronti del presente. Ricolfi spiega che la destra, a differenza della sinistra, percepisce un lato oscuro del progresso e della globalizzazione. «La differenza fra progressisti e conservatori è che i primi tendono a vedere solo le conseguenze positive, mentre i secondi vedono anche quelle negative». Infine, «riguardo al politicamente corretto, alle istanze LGBT, ai diritti civili […], per i progressisti sono grandi “battaglie di civiltà”, per i conservatori […] sono rivendicazioni problematiche […] perché insidiano la libertà di espressione, perché distolgono l’attenzione dai diritti sociali, perché minano alla base i presupposti della visione tradizionale del mondo fondata sulla famiglia, l’amore coniugale, il rapporto con la natura, il senso del dovere, lo spirito di sacrificio, più in generale l’accettazione del limite».
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