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Spettacolo

Oscar 2023, tra outsider e rivincite è sempre la stessa storia

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Giulia Zennaro

Gli Oscar sono una noia mortale già da qualche anno. Tranne i guizzi di fantasia che hanno fatto vincere per la prima volta nella storia un film coreano (Parasite, nel 2019) o i momenti-meme come il pugno di Will Smith a Chris Rock, tutto scorre immutato da anni.

Polemiche pre-Oscar, polemiche post-Oscar che si dividono tra chi rosica in anticipo per la scarsità di nomination che rispecchiano l’ideologia woke e chi rosica a posteriori perché non ha vinto il film o l’artista paladino dell’ideologia woke.

Ecco i vincitori dell’edizione 2023 degli Oscar:

  • Everything Everywhere All at Once: miglior film (Daniel Kwan, Daniel Scheinert, Jonathan Wang)
  • Brendan Fraser: miglior attore per The Whale
  • Michelle Yeoh: miglior attrice per Everything Everywhere All at Once
  • Naatu Naatu: miglior canzone originale (Maragadha Mani, Chandrabose)
  • Niente di nuovo sul fronte occidentale: miglior film straniero (Edward Berger)
  • Ke Huy Quan: miglior attore non protagonista per Everything Everywhere All at Once
  • Jamie Lee Curtis: miglior attrice non protagonista per Everything Everywhere All at Once
  • Pinocchio: miglior film d’animazione (Guillermo del Toro, Mark Gustafson, Alexander Bulkley)
  • Daniel Kwan: miglior regista per Everything Everywhere All at Once
  • Daniel Scheinert: miglior regista per Everything Everywhere All at Once
  • Niente di nuovo sul fronte occidentale: migliore colonna sonora (Hauschka)
  • Navalny: miglior documentario (Daniel Roher, Odessa Rae, Shane Boris)
  • An Irish Goodbye: miglior cortometraggio (Tom Berkeley, Ross White)
  • Women Talking – Il diritto di scegliere: miglior sceneggiatura non originale (Sarah Polley)
  • Raghu, il piccolo elefante: miglior cortometraggio documentario (Guneet Monga, Kartiki Gonsalves)
  • Everything Everywhere All at Once: migliore sceneggiatura originale (Daniel Kwan, Daniel Scheinert)
  • Avatar 2: migliori effetti speciali (Richard Baneham, Joe Letteri, Eric Saindon)
  • Il bambino, la talpa, la volpe e il cavallo: miglior cortometraggio d’animazione (Charlie Mackesy, Matthew Freud)
  • Niente di nuovo sul fronte occidentale: miglior fotografia (James Friend)
  • The Whale: miglior trucco (Adrien Morot, Judy Chin, Anne Marie Bradley)
  • Black Panther: Wakanda Forever: migliori costumi (Ruth E. Carter)
  • Everything Everywhere All at Once: miglior montaggio (Paul Rogers)
  • Niente di nuovo sul fronte occidentale: migliore scenografia (Ernestine Hipper, Christian M. Goldbeck)
  • Top Gun: Maverick: miglior sonoro (James Mather, Al Nelson)

A portarsi a casa praticamente ogni premio vincibile è stato Everything Everywhere All At Once (che d’ora in avanti chiameremo EEAAO), opera outsider per moltissime ragioni e, proprio per questo, quella sulla quale avevano puntato tutti. Film con un budget relativamente basso, prodotta da uno studio indipendente, A24, con i registi semisconosciuti Daniel Kwan e Daniel Scheinart (i “Daniels”).

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Il cast di Everything Everywhere All At Once.

Non è solo il premio come miglior film a EEAAO ad aver destabilizzato gli equilibri in gioco. Ad aver rivoltato le carte in tavola a Hollywood sono stati la vittoria nella categoria miglior regia, battendo Steven Spielberg, il premio come miglior attrice a Michelle Yeoh e il riconoscimento indiretto alla A24, che ha sbancato vincendo anche la categoria miglior attore e miglior trucco con The Whale.

Ma ci arriveremo: c’è ancora una considerazione da fare sulla vittoria di EEAAO. Indubbiamente la vittoria di Yeoh, prima asiatica nominata come miglior attrice e vincitrice, rappresenta un faro di speranza per attrici, attori, registi e tecnici asiatici.

Certo, sarebbe stata una vittoria più “pulita” se non fosse stata macchiata da alcune polemiche veramente di cattivo gusto. A votazioni ancora in corso, Michelle Yeoh ha condiviso su Instagram, e poi cancellato, alcuni paragrafi di un articolo di Vogue che comparava l’effetto che avrebbe avuto la sua vittoria rispetto a quella di Cate Blanchett, nominata per Tár.

L’articolo sottolineava che la veterana australiana della recitazione ha già vinto due premi Oscar e una terza vittoria non avrebbe cambiato nulla nel suo palmarès. Si sarebbe trattato invece di un cambiamento vitale per Michelle Yeoh, attrice di calibro ma di sicuro più sottovalutata a Hollywood rispetto alla collega.

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Una considerazione con la quale si può essere o meno d’accordo (gli Oscar come miglior attore certificano la performance in un film, non la carriera complessiva), ma che sarebbe stato meglio tenere per sé, soprattutto a poche ore dalla cerimonia.

Ma alla fine è andato tutto bene, l’Oscar è stato assegnato alla miglior attrice e le polemiche razziali si sono quietate, sostituite dalla solita retorica da discorso di premiazione («Non lasciate che vi dicano che siete troppo vecchie o troppo asiatiche per vincere»).

Anche la vittoria nella categoria di miglior attore di Brendan Fraser è stata anticipata da uno strascico di polemiche. Questa volta, oltre che sull’attore in sé, si sono concentrate sul film, storia di miseria umana e ricerca di redenzione classica di Darren Aronofsky.

The Whale parla di una persona gravemente obesa. Il fatto che per interpretare Charlie, un professore di inglese che pesa trecento chili, non sia stato preso in considerazione un attore nelle medesime condizioni del personaggio è stato vissuto come un affronto. Per gli attivisti della fat positivity americani, Brendan Fraser non è idoneo alla parte perché non sa che cosa significhi essere obesi.

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Poco importa che Fraser conosca invece molto bene la sofferenza psicologica, la solitudine, l’emarginazione, perché le ha provate per tre quarti della sua vita di attore, che dopo gli exploit del franchise La mummia sembrava destinato a una parabola discendente senza fine.

Brendan Fraser conosce molto bene le emozioni che un personaggio sofferente, isolato e malato (sì: malato) come Charlie può provare ma, purtroppo per lui, è normopeso. Questo rappresenta un ostacolo insormontabile per chi vuole normalizzare una condizione di vita nella quale anche compiere qualche passo sulle proprie gambe può portare a spezzarsi le ginocchia, equiparandola alle immagini di modelle curvy che vediamo da H&M.

Dall’attivismo oltreoceano a quello di casa nostra, la comunità cripple è insorta protestando per l’immagine che The Whale restituisce delle persone gravemente obese. Forse, come dice Sofia Righetti su Instagram, il film fa pornografia del dolore, indugiando in maniera pietistica sul corpo del personaggio e sui device per la mobilità. Ma come si dovrebbe mostrare un personaggio gravemente malato, sofferente, che sta più di là che di qua e che odia sé stesso?

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Angela Bassett agli Oscar 2023.

Lasciamo le considerazioni finali a chi avrà la pazienza di vedere The Whale senza i paraocchi e le paranoie generate dalle varie forme di attivismo sociale. Brendan Fraser ha vinto, e la sua performance è sicuramente di livello a prescindere dalla qualità o meno del film. Di sicuro, la sua statuetta sancisce che Hollywood ama le seconde chance e le concede quasi a tutti, anche a chi ha contribuito in prima persona a far fuori.

La cerimonia degli Oscar 2023 ha dimostrato che esistono davvero dei pessimi perdenti: maglia nera ad Angela Bassett (nominata come miglior attrice non protagonista per Black Panther: Wakanda Forever) per non aver applaudito la vincitrice Jamie Lee Curtis (che ha vinto per – sorpresa! – EEAAO).

Pochi e contenuti i momenti di leggerezza: Jimmy Kimmel prova a far sbottonare un po’ il premio Nobel Malala Yousafzai facendole una innocua domanda di gossip e viene gelato dall’attivista («Io parlo solo di pace») e dal web, che definisce addirittura il siparietto una molestia.

Peccato che la partecipazione del premier ucraino Zelensky (che ormai cerca di imbucarsi ovunque, da Sanremo agli Oscar) sia stata nuovamente rimbalzata al mittente. Kimmel avrebbe potuto chiedergli un parere sul dissing tra Shakira e Piqué, giusto per stemperare la retorica che accompagna la continua richiesta di armi, o minacciare di mandare Malala al fronte.

La retorica filoucraina non è comunque mancata, dato che come miglior documentario ha vinto Navalny, film sul dissidente russo di estrema destra che considera gli immigrati scarafaggi da abbattere.

Leggi anche: Oscar 2025: il miglior film per vincere dovrà rispettare dei requisiti di inclusione.

Jimmy Kimmel porta un asino sul palco degli Oscar 2023, uno scherzoso omaggio al film Gli spiriti dell’isola.

Tra vittorie annunciate, outsider che trionfano, seconde chance e commoventi momenti di ricordo degli attori scomparsi (quest’anno erano nomi di prima grandezza come Angela Lansbury, Gina Lollobrigida, Olivia Newton-John, Burt Bacharach, Ray Liotta), possiamo archiviare anche questi Oscar 2023.

Una cerimonia misurata, senza momenti epici, ma che di sicuro non è passata sotto silenzio: forse è proprio questo che infastidisce. La premiazione autoreferenziale più prestigiosa del mondo deve sempre trovare un alibi per rinnovarsi, per essere al passo con i tempi restando sempre estremamente conservatrice.

Non importa che si dica, purché se ne parli: questo è ciò che tutti i vincitori troveranno inciso sulla statuetta di un signore dorato che, decenni fa, fu battezzato per puro caso Oscar e che da allora tutti sognano, ma pochi arrivano a stringere tra le mani.

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Giulia Zennaro

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