Nel Il posto della guerra e il costo della libertà (Bompiani 2022) Vittorio Emanuele Parsi spiega la posta in gioco che c’è nell’ambito della guerra in Ucraina. Dopo quasi ottant’anni di pace, la guerra è ritornata nel Vecchio Continente e l’ha investito in una dimensione senza precedenti. L’Europa è dunque tornata a essere “il posto della guerra”, come lo era stata per molti secoli. La pace fiorita dopo la Seconda guerra mondiale è stata interrotta brutalmente il 24 febbraio 2022 quando Vladimir Putin, dopo aver negato fino a poche ore prima l’attacco, ha avviato un attacco massiccio dell’Ucraina. Fino ad ora il Cremlino ha fallito in tutti i suoi principali obiettivi, non al netto di orrendi crimini e disastri socioeconomici che si sono riverberati in tutto il mondo. La guerra in Ucraina non coinvolge, infatti, solo l’Ucraina.
«Non è solo una dichiarazione di ostilità mortale nei confronti dell’indipendenza nazionale ucraina, ma costituisce anche un attacco diretto al cuore dell’ordine internazionale: alle sue regole, alle sue istituzioni e ai principi».
La posta in gioco nel “posto della guerra” è la democrazia stessa. In Europa questa è stata ottenuta a fatica grazie ai processi di istituzionalizzazione e mantenimento della pace, rinunciando alla guerra e al conflitto armato come strumenti per risolvere le controversie. Parsi addebita la colpa dello scoppio della guerra a Putin. Il che non è scontato in un’epoca in cui si tende a invertire causa ed effetto. «Putin non ha mai fatto mistero di ritenere le democrazie un regime politico obsoleto e di voler restaurare lo status di grande potenza della Russia, a suo dire defraudata di gloria e aspirazioni dai nemici esterni e non da debolezze interne».
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Da anni Putin ha arrestato il processo di democratizzazione della Russia. Ha trasformato il Paese in un’autocrazia in cui vengono assassinati gli oppositori politici, i giornalisti e i non-allineati. Con l’invasione dell’Ucraina ha messo in discussione l’intero assetto occidentale. Calpestando il diritto internazionale e la sovranità ucraina ha messo in discussione i concetti di democrazia e libertà. Ma anche economia di mercato e società aperta. Ci sarà un indebolimento del tessuto istituzionale a livello mondiale, prevede Parsi. Il contestato allargamento della Nato è «il risultato di un processo complesso e graduale che non nasce dalla volontà occidentale di accerchiare la Russia e minarne la “grandezza”, ma da quella dei Paesi […] di aderire all’Alleanza atlantica. L’ingresso di questi paesi nella Nato non è avvenuto […] per mezzo di un’annessione forzata, ma attraverso una richiesta di adesione […] esito delle decisioni sovrane di quei popoli».
La guerra in Ucraina ha fatto emergere diverse fragilità dell’economia globale basata sull’interdipendenza. Ha reso esplicito che la libertà ha un costo sociale e politico. Parsi esplora anche i malesseri del nuovo posto della guerra. L’Occidente ha trascurato l’aumento delle diseguaglianze a livello locale, forzando una tendenza oligopolistica nei mercati. Una società del privilegio avrebbe fatto perdere a molti l’entusiasmo nei confronti della democrazia liberale. «Non siamo stati capaci di evitare che la politica si allontanasse dalle persone, che hanno smesso di credere nella democrazia come forma per eccellenza per avere una vita, un lavoro, un reddito dignitosi; di riconoscere la democrazia come unico canale per sentirsi tutti rappresentati […]; di amarla come sola possibilità per essere tutti e tutte ugualmente liberi». A giudicare dalla resistenza del popolo ucraino, costoro invece non hanno dimenticato il sapore della democrazia e la paura dell’autoritarismo.
Non vogliono tornare sotto il giogo russo. Al contrario, Kyiv guarda al nuovo posto della guerra, quell’Europa pur sempre democratica e liberale. Proprio in virtù dei disastri delle guerre passate non è auspicabile che la Russia di Putin costruisca una propria sfera di influenza sulla pelle dei regimi democratici. Dunque, la pace deve essere anzitutto basarsi sulla libertà dei popoli ed il rigetto dell’oppressione straniera. «Se l’Ucraina dovesse soccombere, con lei crollerebbe l’intero edificio della pace, collasserebbe quell’ordine che è stato condizione e motore dello sviluppo della “nostra Europa” pacifica e democratica», spiega Parsi. Pacifico, ricorda l’autore, non vuol dire imbelle. «È solo nella tutela della democrazia e della libertà che esiste la prospettiva della pace». Dalla fine della Seconda guerra mondiale la pace è esistita in Europa grazie al controllo della forza, al mercato e alle istituzioni che hanno garantito armonia tra i popoli.
Parsi spiega che l’ordine liberale ha ancora molto da offrire. Certo, ha vacillato parecchio dalla fine della Guerra fredda. Ma è ancora l’unica medicina alle sfide quali diseguaglianza e mantenimento della pace. In un famoso intervento sul Financial Times, Putin aveva fatto un’analisi spietata dell’obsolescenza dell’ordine liberale, giustificando l’uso della forza in una spietata logica realista. Si è sempre rifiutato di accettare l’ordine liberale basato sulla democrazia, l’economia di mercato, la libertà, l’autodeterminazione dei popoli. Putin però si scaglia contro l’Ucraina e, mentre parla del colonialismo occidentale, rade al suolo nel Donbass che voleva “proteggere”. Difficile sedersi e “fare la pace” dopo che l’esercito russo ha commesso crimini anche contro bambini e bambine.
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«Se c’è una cosa che la fiera resistenza del popolo ucraino ci sta insegnando è che non bisogna arrendersi mai, che la difesa della propria libertà è il presupposto per il perseguimento di ogni sogno, di ogni speranza, di ogni scopo per cui valga la pena vivere». Questo sentimento di resistenza non sarà piegato dal revisionismo del Cremlino. Il vittimismo russo suggerisce che la Nato ha provocato la Russia. Ma agli autocrati occorre sempre una narrativa per distogliere l’attenzione sulle condizioni interne del Paese. «La Russia è poco attrattiva per gli altri popoli per il suo incerto futuro, per la povertà della sua proposta ideologica […], per la sua economia sempre meno dinamica e […], per il regime oppressivo che la caratterizza, in grado di soffocare la sua stessa società civile e di inaridire la sua stessa cultura».
Al posto di ovviare a questi problemi, Putin ha invece deciso di fare dell’Europa con la guerra l’Ucraina, nuovamente il “posto della guerra”. L’ha scatenata in un momento propizio per il Cremlino. La competizione della Cina, la Brexit, l’uscita di scena di Angela Merkel, la crisi istituzionale in Spagna, le instabilità italiane, due anni di pandemia, l’alta inflazione. Aiutato dall’anti-americanismo e l’anti-liberalismo in Europa, chissà come si compiace a vedere che molti nel Continente si sono rivolti a un pacifismo intransigente, «incoerente rispetto all’obiettivo da raggiungere: garantire la sicurezza innanzitutto delle democrazie e virgola quindi, contribuire alla pace universale». Democrazia e libertà hanno un costo. Parsi sostiene che la libertà non va soltanto apprezzata, ma anche prezzata. Cosa siamo disposti a fare per difenderla anche fuori dai nostri confini? Sussiste una dannosa convenzione per quella democrazia e la libertà non abbiano un prezzo.
Occorre dunque sviluppare uno spirito critico che preveda la difesa della liberaldemocrazia in quanto tale. L’Occidente ha «sminuito le conseguenze positive di vivere in una liberal-democrazia di fronte agli esiti negativi di vivere in un sistema autoritario. Abbiamo relativizzato troppo, anzi emarginato, la politica dalle nostre società. Abbiamo demonizzato il conflitto politico, dimenticando che il conflitto politico è una forma per educare il conflitto sociale, che è inevitabile in società nelle quali la ricchezza, le opportunità e persino le speranze sono distribuite in maniera enormemente diseguale e riflettono interessi molto diversi. Questo ha creato […] una vera e propria disaffezione, una frustrazione nei confronti della democrazia». Parsi auspica che l’Occidente torni a fare distinguere la bandiera della democrazia liberale rispetto a quella delle autocrazie. La guerra in Ucraina insegna qual è la differenza tra vivere in maniera libera e non.
Il modello liberal democratico deve essere ben visibile e distinguibile da quello autocratico che prevede una “oligarchizzazione” dei sistemi economici e politici. Determinante sarà la capacità delle democrazie occidentali di essere modelli a prova di futuro, scrive Parsi. Carl von Clausewitz (Vom Krieg) scrisse che «la guerra non è che un duello su vasta scala […] un atto di forza che ha per iscopo di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà». Per questo motivo non bisogna sottomettersi al Cremlino e darsi a un finto pacifismo che in verità è una resa. Gli ucraini sanno per cosa si battono: e l’Occidente? Difesa dell’ordine liberale vuole dire difesa dell’Ucraina. «È l’ordine liberale, infatti, che si fonda sull’ambizione di mantenere in armonia la sovranità dello stato e la centralità del mercato con una dimensione internazionale pluralistica in termini quantitativi […] e qualitativi […] attraverso il ricorso alla risorsa dell’istituzionalizzazione».
Conclude Parsi: «La pace interna all’Europa può essere difesa con mezzi pacifici fin tanto che anche chi è ai suoi confini accetta di farlo, ma deve essere difesa con altri, più classici mezzi se qualcuno dall’esterno la minaccia». Inoltre: «Per proteggere l’area di pace, non rimane alternativa che essere in grado di dissuadere anche militarmente chi quella pace vuole violare e chi vuole riportarci indietro di quasi un secolo». Aiutare l’Ucraina vuol dire difendere il multilateralismo e i valori occidentali. Tra questi, istituzionalismo ed economia di mercato. Ma anche il fatto che la legge del più forte non può dominare la geopolitica. L’Europa ha fatto fatica a capire la minaccia russa negli anni – articolata anche tramite disinformazione su vasta scala e politici pro-Mosca prezzolati. La guerra la si rigetta rafforzando le istituzioni e preservando libertà e democrazia.
«Il solo modo per allontanare la prospettiva della guerra è favorire quella evoluzione politica, istituzionale ed economica che possa far percepire ogni parte non minacciosa rispetto all’altra. E mantenere la fermezza dei principi dell’ordine internazionale liberale è la sola strategia possibile. Iniziando laddove quei principi si sono tramutati in istituzioni e regole accettate (in Europa) e anche dove l’esercizio della fermezza consente quella politica di bilanciamento che è subottimale rispetto a un suo superamento per via democratica, ma che, in assenza della possibilità di quest’ultimo, resta una scelta obbligata e migliore in confronto alla rassegnazione al sopruso e alla prepotenza». Soltanto difendendo la democrazia e la libertà – dunque aiutando l’Ucraina – si potranno aprire degli spiragli delle prospettive di pace. «Perché se è vero che è Putin ad aver aggredito la Russia, allora la congiunzione immediatamente successiva deve essere “quindi”, non “però”».
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