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Spettacolo

Le sapivi tu? Il saggio per riscoprire la curiosità e tornare a stupirsi

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Fabio Loperfido

Quante volte è capitato a ognuno di domandarsi, nel bel mezzo di un discorso, il significato e l’origine di una parola oppure di un modo di dire d’uso comune? Sicuramente tantissime. Molte meno, però, sono le volte in cui si è poi andati effettivamente a cercare tale significato. La vita in questo mondo sempre più veloce, infatti, porta a rimandare qualsiasi cosa, tra cui anche il soddisfacimento di una curiosità. A permettere di fermarsi e approfondire arriva il saggio Le sapivi tu?, scritto da Adriano Galli ed edito dalla casa editrice Scatole Parlanti.

L’autore

Adriano Galli è nato a Priverno, in provincia di Latina, nel 1975. Nella sua vita ha girato per tutto il globo, conoscendo tantissime persone che di conseguenza lo hanno arricchito con un’infinita serie di storie e curiosità. Qualche anno dopo aver svolto il servizio militare come guardia carceraria nel carcere di Peschiera, si è imbarcato sulle navi da crociera in qualità di croupier. Questo lavoro lo ha poi portato prima in Inghilterra e infine in Svizzera, dove tutt’ora risiede. Da sempre appassionato di letteratura, durante il lockdown ha deciso di unire in una narrazione tutte le sue esperienze e conoscenze accumulate, dando luce alla presente opera.

Le sapivi tu? non è solo un saggio che ci consente di scoprire tante curiosità riguardanti la lingua italiana. Oltre a questo, infatti, permette di fare un viaggio itinerante attraverso il tempo e lo spazio. Nei vari capitoli capiterà di rivivere in una Torino di inizio Novecento all’interno di una famiglia nobile ormai in decadenza, venendo poi trasportati negli anni del dopoguerra tra le pianure dell’Agro Pontino, per poi finire persino nella Roma del Cinquecento. Non mancano nemmeno i capitoli nei quali l’autore si racconta in prima persona, con i suoi viaggi e le sue esperienze in giro per il mondo.

La copertina del saggio.

L’incantevole mondo che sta dietro al linguaggio

Il linguaggio verbale è lo strumento principale attraverso il quale le persone comunicano tra loro. Viene utilizzato più frequentemente del linguaggio non verbale in quanto più diretto. Nell’insieme del linguaggio verbale si trovano infatti i suoni e le parole, ma al tempo stesso anche i racconti e le narrazioni. Esattamente l’essenza che costituisce il saggio di Galli.

La lingua italiana è particolarmente variegata. Può infatti contare al suo interno parole dall’etimo più disparato: dal vicino latino utilizzato nell’impero romano al lontano anglosassone. Senza dimenticare le molte parole arabe derivanti dall’influenza saracena nella Magna Grecia.

Per comprendere meglio il concetto, si può prendere come esempio il saluto più comunemente utilizzato, ovverosia “ciao”. Una parola che viene usata quotidianamente da milioni di persone, senza che i più sappiano però né il suo significato né la sua storia. Questa parola deriva da un antico saluto veneziano, s’ciao. Letteralmente significa “schiavo vostro” e si trattava di un saluto comunemente utilizzato dalle classi più popolari verso la nobiltà. Per questa ragione è utilizzato ancora oggi come saluto informale. Risulta interessante notare come, rintracciando l’origine di un termine, si venga a conoscenza anche delle motivazioni per le quali viene utilizzato in un determinato contesto piuttosto che in un altro.

Leggi anche: Curiosità sulla vita degli antichi Romani.

L’intersezione con la musica

Al termine di ogni capitolo è presente una canzone consigliata dall’autore, legata per qualche motivo al tema appena affrontato. Il legare la musica alle parole scritte su di un libro non è per niente semplice, oltre a essere una scelta in controtendenza con la vita quotidiana sempre più legata al digitale. È infatti rischioso tentare di compiere il processo inverso, ovvero di legare un qualcosa che viene fruito oramai unicamente in digitale, come ad esempio la musica, a uno strumento prettamente analogico, come il libro. È vero, il libro non è più solamente un oggetto analogico, però come concetto lo è in pieno. Questo tentativo spinge il lettore a fare ancora un passo in più, sempre sulla falsariga dell’idea di questo libro.

Come detto in apertura, questo libro si pone tra gli altri anche l’obiettivo di far fermare il lettore al significato delle parole, come spiega l’autore nella sinossi:

«Ci dà la possibilità, finalmente, di poterci fermare un attimo, respirare ed entrare in un’enorme biblioteca fatta di storie ed aneddoti».

Sfruttando quindi questa sosta forzata, Galli invita a prolungarla qualche minuto con l’ascolto di un brano musicale. Fermarsi dopo la lettura di un capitolo ad ascoltare un brano di qualche minuto non è un’impresa così facile come potrebbe sembrare. Eppure, ne vale totalmente la pena. Ancora con la mente nei panni dei protagonisti e ancora immersi negli eventi narrati, i brani accuratamente selezionati permettono di rimanere in profondità, immedesimandosi anzi ancora più in quel determinato periodo storico e contesto.

L’uomo e la sua tendenza alla curiosità

Italo Calvino, all’interno del documentario Un uomo invisibile, sulla città di Parigi, descrive la capitale francese come «una gigantesca opera di consultazione, una specie di enciclopedia». Ogni città, ogni angolo di mondo a dire il vero, può rientrare nel paragone di Calvino. I racconti e gli aneddoti che Galli offre in questo saggio ne sono la riprova. L’uomo è fatto per la curiosità, è fatto per la conoscenza, per il bello. Dante Alighieri nella Divina commedia, nel XXVI canto dell’Inferno, esclama attraverso la voce narrante di Ulisse: «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza».

Con il passare del tempo questa natura innata dell’essere umano sta sempre più venendo schiacciata da vari elementi, definibili di disturbo. La tecnologia, da elemento di supporto e utilità, sta prendendo il ruolo più centrale di riempitivo. Riempitivo che nella maggior parte dei casi non è un vero e proprio riempire, bensì un soffocare. E quello che si sta cancellando è proprio lo spirito interiore dell’uomo, che di fronte alla bellezza del mondo si chiede il perché di tanta bellezza. La speranza è che si possa ritornare a stupirsi, partendo ad esempio proprio dalla ricchezza del linguaggio, potendo ancora fermarsi a chiedere a sé stessi: «E io, lo sapevo?».

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Fabio Loperfido

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