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Uno Stato in emergenza: la questione immigrazione

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Carlotta Zaccarelli

Nelle ultime settimane, le espressioni più usate nel discorso sull’immigrazione in Italia sono state “protezione speciale” e “stato d’emergenza”. Hanno accompagnato la ripetitiva narrazione della destra italiana ora al governo per cui l’Italia sarebbe territorio di un’invasione di migranti, pericolosa per la sicurezza interna del Paese. Da qui, la necessità di nuovi decreti e nuove norme che regolino (leggasi limitino) l’ingresso di stranieri. Da qui, essenzialmente, il Decreto Cutro.

Nei media di informazione le notizie su questa situazione si susseguono veloci, a volte in evidenza e a volte defilate. Il rischio è che una questione importante come l’accoglienza in Italia, che ha ricadute legali (nazionali e internazionali), politiche, economiche e sociali, sia veicolata in modo frammentario, confuso e incompleto. Sia incompresa o trascurata.

Per cercare di fare chiarezza, si può iniziare a capire lo status quo e come si innestano in esso le novità che il Governo Meloni vuole introdurre. 

La protezione (?)

Chi arriva in Italia in modo illegale può richiedere una di tre protezioni per regolarizzare la sua posizione nel Paese. 

La prima è l’asilo politico. Chi lo ottiene acquisisce allo stesso tempo lo status di rifugiato. Entrambi, asilo e status, sono previsti e disciplinati dalla Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951. Questo trattato internazionale definisce rifugiato «chiunque, nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato». Nell’attesa di essere riconosciuto come rifugiat*, chi inoltra domanda di asilo politico è un* richiedente asilo e soggiorna legalmente in territorio italiano. L’asilo politico dà diritto a un permesso di soggiorno valido cinque anni con il quale è possibile lavorare, accedere al servizio sanitario nazionale, ai servizi assistenziali e a quelli di diritto allo studio.

Il secondo tipo di protezione è la sussidiaria. Anche questa dipende da norme internazionali, ossia da una direttiva europea che è stata recepita (trasformata in legge) dall’Italia. È concessa a chi potrebbe subire un danno grave in caso di rimpatrio: discriminazione, persecuzione, tortura, trattamento inumano e/o minacce derivanti da conflitti attivi nello Stato d’origine. Vale cinque anni e dà diritti simili all’asilo politico.

Targa commemorativa a Marzamemi. Foto: Wikimedia Commons.

La terza protezione è la protezione speciale. È stata creata ad hoc dalla legislazione italiana per estendere e completare la tutela alle persone che arrivano nel Paese da situazioni di pericolo. Oltre a ribadire che chi è sottoposto o è a rischio di persecuzione deve rimanere in territorio nazionale, precisa che questo diritto spetta anche a coloro che con l’espulsione vedrebbero violato il proprio diritto al rispetto della vita privata e familiare. Vale due anni e può essere rinnovata, previa valutazione della situazione di chi ne gode.

La protezione speciale è stata creata dalla riforma del sistema d’accoglienza introdotta nel 2020 dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese durante il secondo governo Conte. Ha riattivato la protezione umanitaria abolita quasi del tutto dai decreti sicurezza voluti nel 2018 dall’allora ministro degli Interni Matteo Salvini, esponente del Conte 1. 

Dopo il naufragio avvenuto al largo di Steccato di Cutro nel febbraio 2023, il governo Meloni ha proposto una nuova riforma del sistema di accoglienza italiano. Diventata nota come Decreto Cutro (perché qui si è svolto il Consiglio dei Ministri in cui ha preso forma), uno dei suoi obiettivi principali è stato limitare la concessione della protezione speciale.

Fratelli d’Italia, il partito della premier Meloni, ha sempre sostenuto che si tratti di una specificità italiana che mette Roma in una condizione di svantaggio rispetto agli altri Stati europei. 

Così ha dichiarato la Prima Ministra durante il suo viaggio istituzionale in Etiopia ad aprile 2023: «Io ho come obiettivo l’eliminazione della protezione speciale, perché si tratta di un’ulteriore protezione rispetto a quello che accade nel resto d’Europa e io credo che l’Italia non abbia ragione di discostarsi dalle normative europee».

Il presidente del Senato La Russa l’ha definita «un tam tam ideologico che ci danneggia: “Andate in Italia, ché lì possiamo rimanerci come vogliamo”. Questo crea un afflusso superiore a quello che possiamo permetterci». Sono le parole usate dalla seconda carica istituzionale italiana, in teoria imparziale rispetto a qualsiasi posizione, durante il dibattito sul Decreto Cutro avvenuto in Senato il 17 aprile 2023. 

Il 20 aprile il Senato ha approvato il Decreto Cutro con 92 voti favorevoli e 64 contrari. 

La Camera lo deve esaminare ed eventualmente convertire in legge il 10 maggio 2023. 

Con la nuova normativa, nell’esame di richiesta di protezione speciale i legami affettivi e sociali che il/la migrante ha in Italia hanno un peso minore che in precedenza. Più limitata è anche la via d’accesso alla protezione per chi arriva in Italia per cure mediche: può rimanere solo chi riesce a dimostrare in modo adeguato che la sua patologia è grave e che in patria non può ricevere trattamenti consoni. Il decreto appena licenziato elimina poi la possibilità di rimanere per chi soffre di gravi condizioni psicofisiche. Chi invece ha bisogno di salvarsi da una calamità deve dimostrare che sia un evento “contingente ed eccezionale”: se ci riesce, il suo permesso di soggiorno potrà essere rinnovato solo sei mesi, previa rivalutazione della calamità. Infine, la protezione speciale non può più essere convertita in permesso di soggiorno per lavoro, autonomo o dipendente. 

Meno tutele della vita privata e familiare. Meno tutele sanitarie. Meno tutele ambientali. Meno tutele lavorative. Uguale a più inaccettabili violazioni del diritto alla vita e della dignità umana.

L’approvazione di un simile decreto rischia poi di avvalorare la tesi della destra al governo per cui l’Italia è presa d’assalto dai migranti che qui ricevono un trattamento di favore.

È un discorso che non contiene verità. E per dimostrarlo bastano pochi e chiari dati.

Un rapporto del Senato del 2018 individua diciotto Paesi dell’Unione Europea che garantiscono ai migranti una loro protezione complementare rispetto alle misure istituite e regolate dal diritto internazionale. In questi Stati, la protezione complementare si chiama spesso “protezione per ragioni umanitarie”, ovvero la vecchia protezione umanitaria italiana. Per ognuna, il documento di Palazzo Madama elenca caratteristiche e modalità di conseguimento nel tentativo di fare un paragone con la legge italiana. I dati Eurostat confermano che ancora nel 2022 la protezione umanitaria esiste in altri Paesi europei. Ancora oggi, la Germania la rilascia per motivi medici personali o familiari, necessità di concludere la formazione accademica o professionale, aiuto a vittime di tratta o sfruttamento lavorativo: motivi del tutto simili a quelli che considerava Roma.

Nel 2022 l’Italia ha concesso l’asilo politico a 6.161 persone, la protezione sussidiaria a 6.770 e quella speciale a 10.865. Il 53 per cento delle richieste di protezione è invece stato rigettato.

Secondo ancora i dati Eurostat, nel 2022 la Spagna ha concesso 20.925 protezioni umanitarie. Berlino ne ha rilasciate 30.020. L’Italia è quindi la terza di questa (inutile) classifica di solidarietà, con un distacco di circa 20.000 punti dall’oro del podio.

L’Italia non è invasa da stranieri e non ne attira di più di altri Stati europei, né li protegge in maniera più completa. O umana.

Leggi anche: I numeri dell’emergenza migranti.

Piccolo inciso: iter burocratici impraticabili in solitaria

Ottenere una qualsiasi tipo di protezione significa passare attraverso un iter burocratico tortuoso.

La richiesta va presentata quanto prima alla Polizia di Frontiera che incontra i migranti al momento del loro arrivo irregolare in Italia oppure alle Questure.

La domanda è esaminata da una Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che deve valutare se esistono i criteri perché la persona possa acquisire la tutela in e dell’Italia. Altrimenti detto, questi uffici sono chiamati a capire se chi arriva nel Paese senza documenti e senza sapere la lingua sia in grado di dimostrare in modo convincente di essere soggetto a persecuzioni, discriminazioni e minacce ai propri diritti essenziali.

La valutazione avviene attraverso la presentazione di vari documenti e un colloquio con il/la migrante, complesso se non c’è un mediatore culturale (e succede).

Se la richiesta di protezione è negata, i migranti devono essere rimpatriati. 

Aspettano la loro espulsione dall’Italia nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) oppure rimangono in condizioni di clandestinità su suolo italiano.

Di fronte a un primo no, i migranti possono presentare istanza di riesame solo se sono in grado di aggiungere alla domanda nuovi elementi che prima non potevano essere forniti. 

Se la richiesta è accettata, allora i migranti possono diventare rifugiati oppure titolari di protezione sussidiaria o speciale. 

La protezione speciale, in realtà, si attiva in due modi. Nel primo caso, il/la migrante fa subito domanda per avere questo tipo di tutela presso la Questura. La situazione dell* stranier* è valutata dalla Questura con il parere della Commissione territoriale e l’esito può essere favorevole o sfavorevole. Altrimenti, quando la Commissione territoriale valuta che non ci siano i presupposti per le protezioni internazionali ma che al contempo il/la richiedente non debba essere allontanato dall’Italia perché ne verrebbe un grave danno alla sua persona, allora inoltra la domanda di protezione alla Questura. La Questura esamina i documenti e, con il parere della Commissione, può rilasciare la protezione speciale.

Il tempo per portare a conclusione tutti questi passaggi può essere anche di anni: uno stress inutile, che lascia le persone in preda all’angoscia di non poter pianificare il proprio futuro. Le lascia nello sconforto e nel terrore di non sapere se potranno rimanere in Italia oppure dovranno ritornare nella situazione dolorosa dalla quale fuggono.

Durante questa sospensione, i migranti si devono confrontare con una burocrazia lenta e impreparata, senza servizi adeguati. Spesso mancano infatti gli operatori legali e i mediatori culturali che possono aiutare persone che non capiscono la lingua a districarsi in una selva di documenti da compilare e non smarrire e ad affrontare un colloquio che può essere traumatizzante. In questo contesto, mancano anche servizi psicologici adeguati. Durante l’udienza con le Commissioni, ai migranti può essere infatti chiesto di rivivere un pezzo del loro viaggio: significa per loro riesumare episodi molto scioccanti, torture, minacce, fame e sete, grande dolore fisico, la separazione dalla famiglia. 

Bisogna poi aggiungere difficoltà di ordine materiale. Come può pagare le marche da bollo una persona che vive con pochi euro al giorno, ammesso che le sia spiegato cos’è una marca da bollo? Come trova gli uffici giusti una persona che non sa leggere indicazioni in italiano? I centri di accoglienza, nella maggior parte dei casi piccole strutture o appartamenti sparpagliati sul territorio, sono spesso lontani dagli uffici competenti in materia di immigrazione a cui devono rivolgersi i migranti. Come li raggiungono? 

Ci sono associazioni che aiutano i migranti in tutti questi passaggi, ma i fondi a loro disposizione sono insufficienti. In ogni caso, comunque, se lo Stato (come dice) vuole controllare e gestire i migranti, allora dovrebbe prima di tutto farsi carico della regolarizzazione della loro posizione in Italia. 

Foto: Alain Bachellier.

Eterna emergenza

Data la disorganizzazione delle istituzioni, non sorprende che il Paese sia in eterna emergenza migranti.

L’11 marzo 2023, il governo Meloni ha suggellato questa situazione dichiarando lo stato di emergenza nazionale. Secondo il comunicato stampa del Consiglio dei Ministri di quel giorno, il motivo della decisione è il sovraffollamento delle strutture di accoglienza, Lampedusa in particolare, e il previsto aumento del numero di arrivi. Lo scopo quello di gestire meglio i flussi di migranti ed evitare stragi come quella di Cutro. La prima misura alla quale si è accennato nello stesso comunicato è l’apertura di nuove strutture di accoglienza e di nuovi Centri di permanenza per il rimpatrio.  

Lo stato di emergenza è un atto amministrativo regolato dal Codice di Protezione civile, il cui Articolo 7 stabilisce che questo provvedimento sia adottato quando sono in corso “emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo”. In altre parole, è una misura che permette al Governo di sbloccare risorse economiche e usare strumenti straordinari per fronteggiare una crisi.

L’attuale stato di emergenza ha durata di sei mesi. Poiché è nazionale, potrebbe avere una durata massima di due anni, dodici mesi iniziali e dodici di proroga. Se dopo questo tempo si presentasse la necessità di mantenerlo attivo (ossia, se il Governo non riesce a risolvere la situazione dei migranti in due anni), allora lo stato di emergenza verrebbe considerato una condizione sistemica dell’Italia. Il Parlamento italiano dovrebbe costruire leggi che permettano la sua risoluzione. 

Il budget iniziale mobilitato equivale a cinque milioni di euro. Sono insufficienti per raggiungere gli obiettivi stabiliti dal Governo. Che tira comunque dritto e affida l’amministrazione di questi soldi a un commissario straordinario per l’accoglienza individuato in Valerio Valenti dall’ordinanza del 16 aprile firmata dal capo della Protezione civile Fabrizio Curcio.

Da sempre vicino al centrodestra, Valenti era già stato nominato a capo del Dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione dall’attuale ministro dell’Interno Piantedosi. In questa carica, si è occupato di gestire i nodi della prima e seconda accoglienza e dei trasferimenti sulla terraferma dei migranti che sbarcano a Lampedusa. 

Finora, a Lampedusa, il commissario Valenti non ha quasi messo piede. Ha fatto una brevissima visita il 25 aprile insieme al ministro Piantedosi: entrambi non si sono fermati il tempo sufficiente per capire come mai un hotspot che può ospitare al massimo 400 persone ne contenga al momento circa 2.700. 

Ma ciò che è ancora più strano è che lo stato d’emergenza non è ancora ufficialmente entrato in vigore perché ad oggi (26 aprile) non è ancora stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Al contrario, l’ordinanza di Cutro è apparsa il 19 aprile. Si verifica quindi una paradossale situazione per cui esiste un commissario con nulla da commissariare. Per aggiungere ulteriore perplessità nella vicenda, Valenti può esercitare le sue nuove competenze in tutte le Regioni tranne cinque, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Puglia. Qui, i presidenti delle Regioni si sono rifiutati di accettare lo stato d’emergenza introdotto dal governo, che però lo giudica nazionale. Di conseguenza, il commissario Valenti ha sia poteri nazionali che poteri parziali. E non è chiaro come verrà gestita la crisi migratoria nelle porzioni di territorio italiano che non aderiscono all’allarme dell’Esecutivo. 

Leggi anche Londra-Kigali solo andata: il ricollocamento dei migranti del Regno Unito.

Le mosse del governo Meloni rispetto alla questione dei migranti sono inadeguate. Insieme alle reazioni delle altre forze politiche, rivelano ancora l’impreparazione di tutta la politica italiana ad accogliere e integrare nel Paese chi vi arriva o transita in cerca di un ambiente più favorevole nel quale vivere una vita dignitosa, nel quale poter godere dei propri diritti.

Al momento in cui questo articolo viene scritto, il 26 aprile 2023, altre 696 di queste persone sono arrivate in Italia: sono 38.988 dall’inizio dell’anno. Sono tante vite. Ma quando diventeranno troppe per Roma?

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Carlotta Zaccarelli

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