L’attualità di un classico. La persistenza mitica del suo immaginario e la sua presenza fisica, concreta, nei nostri giorni. Su queste tre direttrici, tra letteratura e immaginazione, si snoda la cavalcata di Daniele Di Massimantonio: Caro Naso (Scatole Parlanti, 2022, pp. 134), opera prima del docente e drammaturgo giugliese.
Sei capitoli, anzi libri, per ripercorrere le principali opere poetiche di Publio Ovidio Nasone: Amores, Heroides, Fasti, Tristia e ovviamente Le metamorfosi.
Il letterato, sulmontino di nascita, romano d’adozione, che rinnegò gli studi di legge per diventare nell’Urbe uno dei massimi poeti in età augustea, fin quando, caduto in disgrazia, fu esiliato dal princeps Augusto a Tomi, remotissima e arretrata regione della Scizia. I latinisti si spaccano la testa da secoli intorno alle cause, ma i motivi certi della grande cacciata rimangono oscuri.
Anche Di Massimantonio rimette il coltello nella ferita che sanguina per Ovidio da millenni: sullo scorcio finale del libro ci presenta un Poeta illanguidito e sfiduciato che canta di un amore perduto, di una terra belluina in cui, per bolla imperiale, è costretto a vivere (e morire), e della città più bella del mondo, perduta per sempre.
E poi, risalendo la china della pagine: lo Ovidio poeta a Roma. Poi ancora viaggiatore, cosmopolita, marinaio, esploratore, drammaturgo, indagatore, a volte perplesso, altre incuriosito delle epoche che attraversa.
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Un libro che riporta in vita con brio devozionale Ovidio poeta immortale, ancora esploratore, capace di entrare e uscire in corpi, animali, piante, insetti: una storia fatta di peripezie, viaggi, reincarnazioni, o meglio metempsicosi, che si snodano per duemila anni di storia.
E insieme, una dichiarazione d’amore di un letterato del Duemila che interroga uno dei vertici massimi della letteratura di ogni epoca e latitudine per decifrare il presente. Una trasformazione a capitolo, una margherita di epoche e mondi da visitare per il Poeta, impreziosita dalle illustrazioni sgargianti e immaginifiche in acquerello di Pino Procopio.
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Il filo narrarivo storico-fantastico-utopista, però, si intreccia al gusto per l’aneddoto, al preziosismo linguistico, alla reinvenzione postmoderna del presente (e del futuro) con le parole della classicità, tra prosimetro e stralci di copioni (e metacopioni) teatrali.
A legare le varie tensioni linguistiche e narrative del libro, un radicamento devozionale all’Abruzzo – terra d’origine dell’autore e di Ovidio – e una felice, straripante, spesso incontrollata tensione enciclopedica. Di Massimantonio impasta poesia, teatro, storia, mito, leggenda, folklore, antropologia, musica, per tracciare il suo sentiero del ritorno al futuro di Ovidio.
Come a dire: la poesia è tutto, perché dentro c’è tutto. Tutto quello che un uomo può e deve conscere per essere tale.
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