Il minorenne dello stupro di Palermo è stato scarcerato per “resipiscenza”. Dunque per quale motivo è tornato in libertà pur avendo commesso un reato?
Fare del male ad una persona è un qualcosa che non può mai ed in nessun modo avere delle giustificazioni. Tutti possono sbagliare ed avere dei momenti di scarsa lucidità, ma in nessun modo si può normalizzare un abominio. In una società civile non dovrebbero esistere la violenza e la sopraffazione. In nessun modo dovrebbe esserci il desiderio o l’istinto di ledere il prossimo. Tuttavia in un modo sempre più alla deriva, aumentano i casi di abusi.
Alla legge spetta, o meglio spetterebbe il dovere morale di tutelare i cittadini. Che si tratti di minori, di donne o di qualsiasi categoria di persone, la magistratura dovrebbe in ogni caso garantire delle pene adeguate a coloro che commettono dei reati. Eppure quante volte la legge appare ingiusta e poco consapevole della gravità di alcune azioni?
Una pena non cancellerà mai il male fatto, e la vittima resterà lesa per sempre. Eppure se si parla di giustizia è giusto che chi ha sbagliato paghi e magari abbia la possibilità di redimersi. Un fatto di cronaca recente, quale lo stupro di gruppo a Palermo, ha visto un magistrato procedere alla scarcerazione di uno degli stupratori, in nome del principi di resipiscenza.
Un atto di violenza che sia fisico o psicologico è pur sempre un qualcosa di terribile. L’abuso sessuale priva una persona della intimità, della sua personalità, ponendola dinanzi ad un senso di vergogna perpetuo. Una condanna che la vittima si porterà dietro per anni ed anni, senza mai dimenticare nemmeno un secondo di quel terribile atto.
Tuttavia uno stupro di violenza appare agli occhi del mondo intero come il peggior crimine che si possa commettere. E dunque può esserci una giustificazione ad un gesto così meschino? La vicenda di Palermo ha mosso l’opinione pubblica italiana. Una storia orribile che ha fatto comprendere agli italiani quanto la nostra società sia marcia. E mentre tutti pensano (giustamente) di coprire di insulti i carnefici, sarebbe ancora più giusto pensare alla vittima e quanto meno tutelarla. Nessuno potrà mai darle nuovamente la sua vita, la stessa vita che un gruppo di sette ragazzi ha spezzato in mille pezzi, ma almeno merita giustizia.
Eppure il magistrato ha stabilito che uno dei partecipanti alla violenza di gruppo venisse scarcerato. Si tratta di un minorenne, il quale ha ammesso di avere preso parte all’abuso avvenuto a Palermo ai danni di una diciannovenne. Dunque il magistrato ha optato per la scarcerazione, appellandosi al principio di resipiscenza. Si tratta di un termine quasi in disuso in ambito giuridico, il quale sta ad indicare che il minorenne si sia pentito del fatto commesso ed abbia compreso la gravità dei fatti.
“La sua piena confessione, unita alla consapevolezza del fatto, attenua le esigenze cautelari non rendendo indispensabile il controllo attraverso la detenzione” queste le parole del pm, a dimostrazione di quanto affermato prima. Peccato che, una volta ottenuta la scarcerazione, il minorenne – nel frattempo diventato maggiorenne – si è lasciato andare ad un comportamento social che ha evidenziato la scarsa comprensione della gravità dell’atto commesso, motivo per cui è tornato in carcere.
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