Quota 41 sembra una misura di prepensionamento molto allettante ma la verità è che potrebbe comportare ingenti perdite.
Governo e sindacati tornano a confrontarsi sul tema delle pensioni. Estendere a tutti i lavoratori Quota 41 potrebbe anche essere fattibile ma a pagare il prezzo più alto sarebbero proprio i pensionati. La riforma delle pensioni, al momento, è come un enorme cantiere aperto in cui continuano a comparire nuove proposte.
Giungere al dunque sembra sempre più difficile. Ciò che è sicuro è che, almeno per il 2024, la legge Fornero non verrà superata per mancanza di risorse economiche. Il Governo ha stanziato appena 1,5 miliardi per la spesa previdenziale e, al momento, è impensabile investirne altri.
Torna quindi a fare capolino l’idea che pareva accantonata, di estendere a tutti i lavoratori Quota 41 ma ad una condizione: tutti gli assegni pensionistici dovranno essere ricalcolati con il sistema contributivo. In questo modo però ci sarebbero pesanti tagli sugli importi da corrispondere ai pensionati.
Quota 41: ecco perché non conviene
La quota leghista del Governo insiste affinché tutte le categorie di lavoratori possano accedere alla pensione anticipata grazie a Quota 41. Questa proposta potrebbe anche avere la meglio ma non sarà affatto vantaggiosa e potrebbe, anzi, rivelarsi un flop.
Quota 41 prevede il pensionamento al raggiungimento di 41 anni di contributi, di cui almeno 35 effettivi e non figurativi, a prescindere dall’età anagrafica. Ad oggi questa misura si rivolge solo a categorie specifiche:
- lavoratori precoci con almeno un anno di contributi effettivi versati prima di aver compiuto 19 anni;
- addetti a mansioni gravose;
- lavoratori con un’invalidità pari o superiore al 74%.
Presenta un vantaggio di 1 anno e 10 mesi rispetto alla pensione anticipata ordinaria che prevede 42 anni e 10 mesi di contributi. Il Governo Meloni, nell’ottica di scongiurare un ritorno alla legge Fornero per tutti, potrebbe anche decidere di estendere a tutti Quota 41 ma ad una condizione: tutti gli assegni previdenziali dovranno essere ricalcolati con il sistema contributivo puro.
Questo sistema fu introdotto nel 1996 dalla riforma Dini e sostituì il sistema di calcolo retributivo. Il sistema contributivo puro tiene conto unicamente dei contributi versati. In pratica per calcolare l’importo della pensione bisogna moltiplicare il montante contributivo – cioè l’insieme dei contributi versati nel corso della carriera -per il coefficiente di trasformazione che progredisce in base all’età.
Va da sé, dunque, che se si smette di lavorare a 60 anni o 62, il coefficiente di trasformazione sarà più basso che se si smettesse di lavorare a 67 anni. Di conseguenza l’assegno previdenziale sarà più basso. Inoltre il sistema contributivo non tiene conto delle ultime retribuzioni, come invece faceva il sistema retributivo.
Rispetto a quest’ultimo, il sistema contributivo puro produce perdite del 30% circa. Stando alle prime stime, estendere Quota 41 a tutti ma con il sistema di calcolo contributivo puro provocherebbe tagli di almeno 300 euro sulle pensioni. A questo punto nessuno potrebbe voler fruire di questa misura.