Dove è meglio accantonare il proprio Tfr: ecco le differenze tra Inps, azienda e fondo pensione per fare una scelta oculata.
Il TFR (ovvero il Trattamento di Fine Rapporto) è l’accantonamento mensile di una quota del salario per poi riscuoterlo al termine del rapporto di lavoro, come una sorta di buona uscita. Dunque lo strumento consente ai lavoratori di mettere da parte un “tesoretto” da poter usare una volta conclusa l’esperienza lavorativa con il proprio datore di lavoro.
Il lavoratore dipendente deve decidere a chi destinare l’accantonamento del TFR all’atto dell’assunzione: il datore di lavoro presenta un documento denominato Modello TFR 2, tramite il quale il lavoratore è chiamato ad esprimere la sua preferenza entro un massimo di 6 mesi. La scelta propendere per il cosiddetto Fondo Tesoreria aziendale, e dunque restare in concessione e responsabilità dell’azienda presso cui si è stati assunti, oppure per un fondo di previdenza complementare.
La prima scelta del Fondo Tesoreria prevede due possibilità: la prima, per le aziende fino ai 49 dipendenti, comporta che la gestione del TFR sia a carico del datore di lavoro; la seconda, per le aziende con 50 dipendenti e più, che sia a carico del Fondo Tesoreria dell’INPS. Ma qual è la scelta più opportuna e conveniente per il lavoratore dipendente?
A chi destinare il TFR: i consigli per scegliere bene
Se il lavoratore opta per destinare il proprio TFR all’azienda presso cui è assunto, il capitale maturato verrà versato al dipendente come somma di due specifiche componenti, ovvero l’effettivo accantonamento annuale insieme alla rivalutazione su base composta al 31 Dicembre di ogni anno, o comunque al momento della cessazione del rapporto lavorativo, se antecedente a questa data.
La rivalutazione tiene conto degli eventuali effetti dell’inflazione e si calcola applicando un tasso composto dal valore fisso dell’1,5% a cui va sommato il 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo accertato dall’Istat in relazione al mese di Dicembre dell’anno precedente. Diversa invece la rivalutazione prevista dai fondi di previdenza complementare: i fondi, infatti, investono gli accantonamenti sui mercati azionari ed obbligazionari, in base al profilo di rischio scelto dal lavoratore.
Le differenze principali tra le due opzioni sono quindi molteplici: innanzitutto, il margine di rischio che, mentre è presente nei fondi di previdenza complementare, non lo è nel Fondo Tesoreria; inoltre, mentre la Tesoreria liquida il TFR ad ogni cessazione di rapporto di lavoro, i fondi di previdenza complementare lo liquidano solo al sopraggiungere del pensionamento.
Ancora, la tassazione a cui il TFR destinato al Fondo Tesoreria è soggetto può arrivare al 23% ed oltre, mentre se destinato ai fondi di previdenza è del 15% che può gradualmente diminuire fino al minimo del 6%. In estrema sintesi, dunque, mentre la prima opzione garantisce una maggior stabilità sia in termini di accantonamento sia in termini di rendita, la seconda – essendo legata al mercato azionario ed obbligazionario – prevede la possibilità di maggiori rendite ma accompagnate anche a maggior rischio, trattandosi a tutti gli effetti di un investimento legato alle oscillazioni del mercato.