Grazie all’unione di due farmaci sarebbe possibile fermare la progressione del tumore alla prostata. Di quali medicine stiamo parlando?
Uno dei mali più grandi da affrontare è il tumore. Si può manifestare in momenti casuali della propria vita. Uno dei più temuti è sicuramente il cancro alla prostata. Purtroppo è difficile da diagnosticare in tempo dato che la sua progressione è inaspettata e molto veloce. Tuttavia una recente terapia è stato in grado di rallentarlo in maniera efficiente.
Noi sappiamo che la forma più grave che ci sia è il tumore metastatico. Resiste ai farmaci che sopprimono i livelli del testosterone. Quindi è la forma più grave di anche di questo tipo di cancro, ed è anche il più diffuso tra la popolazione maschile. Rappresenta quasi il 19% di tutti i casi registrati. La causa è la mutazione Brca, che colpisce il seno, la prostata e l’utero. Però una terapia potrebbe alterarne la progressione.
Tumore alla prostata, lo sviluppo può essere rallentato: ecco in che modo
A comunicarlo è il congresso della Società Americana di Oncologia Clinica di Chicago. Il tumore alla prostata metastatico potrebbe essere rallentato da alcuni medicinali. E non si tratta di fantascienza o di un esperimento, bensì di una realtà empirica. Ma quali sono i farmaci che possono farlo, e per quale ragione avviene di preciso? Continua a leggere per scoprirlo: è una notizia grandiosa per tutti.
La chiave è una terapia standard a base di enzalutamide. Questo trattamento sanitario innovativo prevede la combinazione con il PARP inibitore talazoparib. Aumenta in maniera significativa la sopravvivenza e non c’è alcun effetto collaterale importante. La qualità della vita dei pazienti non cambia in alcun modo. Inoltre la combinazione dei due farmaci riduce del 37% la progressione della malattia o il rischio di morte. Come se non bastasse c’è anche la conferma dello studio TALAPRO-2.
La sperimentazione aveva lo scopo di indagare sul periodo di tempo in cui il tumore non progredisce. Così facendo hanno trovato un modo per rallentarlo e curare il paziente prima che sia troppo tardi. Lo studio è stato già pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet. Sono presenti anche sette centri di ricerca italiani, i quali hanno contribuito alla ricerca. In futuro si spera di migliorare ancora di più questa terapia ma i risultati fanno ben sperare.